Poesia > Nino Trifilò
|
NUVARISI……
Si a tutti i veri nuvarisi
I cumigliadi di niri offisi,
…dintra si sento ricchi e libbiri.
Si macaia i vistidi di strazzi
E i carrigadi di pugni e buffazzi,
…dintra si sento ricchi e libbiri.
Si pi timuri o pi spaventu
I iìttadi all’acqua e o ventu,
…dintra si sento ricchi e libbiri.
Si ci fagidi mancà u travagliu
E ci mittidi puru u buccaglio,
…dintra si sento ricchi e libbiri.
Si a fémi ci fagidi patti,
tra suffirenzi e milli mattratti,
…dintra si sento ricchi e libbiri.
Si i taccadi cù centu cadiri
E ci succadi u sengu dè viri,
…dintra si sento ricchi e libbiri.
Si ci livadi a buffetta e u lettu
E i persiguitadi senza dacci rizzettu,
…dintra si sento ricchi e libberi.
Ma si pì svintura o dispettu
Ci rubbadi u propriu dialettu,
chillu chi ci lassèo i so avi,
allua si sento poviri e schiavi.
Fior da fiore
Se il tempo impertinente e strano
Custodisce a sito mio piacer arcano,
aspiro a rimembrar il vetusto uso,
che con me condivise, d’animo illuso
scrupolo di debitor libero e sciolto.
Pur se legato al diletto, sazio e colto,
non come incendio dal calor diviso
sento nel core d’essere in paradiso.
Del contrario, ch’oltre ferve in pena,
l’occhio più vaga e più mi rasserena
Se da comodo impiego più son preso,
or che a fior da fiore mi sono arreso,
a decantare in versi m’apparecchio
e assecondo l’arte, che m’è lume e specchio.
In attesa
Testa lucida al bagliore del lume,
madida di caldi sudori,
stillante svegli vapori di giovine
invecchiato scruti,meditando
nel tentennare della sera
con attonite lacrime di cuore
Fra serti di spine spunte, vizze
nella sorgente uggia del tempo,
che di più rivive d’indugi
nel germinare il sermo del ripudio
nel silenzio estatico,
che permane esitante in dondolio
e smorza il pianto congestionato
del giorno senz’anima.
Fragile nello spirito ricordi lassi,
scarti, transeunti sui nativi passi,
sui tizzi persi di nostalgia
e supplizi in veli d’armonia,
che più non ardono d’allusione
nel cedere gli echi del mistero.
Ora che sei ebbro d’infinito
ti sei aggiogato nella quiete dei sensi
riprovato, straziato e dimentico
in un angolo, mesto e azzittito
di singulti invochi nell’attesa
risvegli di malinconia offesa.
Sotto il sole
Nel fecondare la memoria rivivono
Ardori e ricordi, pianti e dolenze
nell’ore sveglie sotto il sole
con dure gravità e care immagini,
sublimate d’estasi, che riedono pure
e più avide in tenera allegoria della vita.
Le vene appesantiscono le fronti,
ma alleviano i divoranti ansiti.
Si stende una callosa mano
A mostrare il travaglio del giorno,
affinché pietà e tregua indulgano
a recuperare gli spiriti, ruggenti
d’acuti ghigni, turbati dal destino,
che sol il forte mortale intende.
Dal supremo astro è l’angoscia
ch’urla folle di sprezzo stolido,
brancolando con occhi iridescenti,
dove spaventano dal panico il remoto
dilegua divorando gole di tempo
in stasi di delizie evocate.
Il sole messi, rocce e tegole ricolma
e nobilita fanciulle con fascino e civetteria
di freschi profumi e d’anelanti sospiri
senza contorcere e rimestare sotto l’astro
i bollori dell’insania con l’ironia
nell’anticipo del bacio esiziale,
sdegnato in età che pasce sogni.
Gemono le ore
Come sospiri in mesti pensieri
gemono per l’aer l’ore, ignude
picchiano sui tetti, giù nel silenzio,
e per colli e valli risonando a flussi memori
dispiegandosi in tedio, smunte di ragione
e di mistero per chi più non spera.
Dolorose, in ombra paiono spasimi
Nell’incalzare del tempo rimoto,
e gioite nel convoglio dei ricordi
l’ore dileguansi con tenacia sfinita, in spirto,
in solitaria pena opprimono fiati d’aria
maligna e aliena, ch’avanza in rimembranze
in danno di tronchi di ria sorte,
d’occhi volti e zeppi di nostomania,
ch’accresce in colpa senescente.
Nell’odio e nellea collera mostransi gravi
L’ore nell’angoscia e alla catena
D’una solitudine desolata di luci
E ignota per cagione d’isterico riso,
che a pietà prevale e assorda come nefanda,
fallace melodia d’usignolo, che in gabbia
fiede per l’etra recluso il gorgheggio.