Personaggi > Rosaria Trifiletti
La mamma di
San Basilio
Rosaria Trifiletti
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La fantasia geniale
David Anastasi
Raccontare chi sia stata, cosa abbia rappresentato a San Basilio, mia nonna Rosaria Trifiletti, significa descrivere l'insieme di sentimenti e valori di una comunità, con le sue storie e i suoi racconti.
Il bar da lei magistralmente diretto, ha significato non una semplice attività, ma l'agorà, la piazza, il salotto di un paese che viveva, si incontrava, si ritrovava di generazione in generazione.
Da nipote ricordo quell'atmosfera di ospitalità e generosità con cui mia nonna accoglieva i suoi ospiti attorno al braciere, o lo squillo del telefono," trait d'union"dei tanti giovani emigrati con i propri cari, la propria casa, le valli verdi e le montagne rocciose che al tramonto si tingevano d'oro.
La signora Rosaria teneva amorevolmente le fila di una piccola comunità proiettata in un mondo globale e lei stessa, con una “fantasia geniale”, conosceva quei tanti luoghi, come se li avesse vissuti e visitati con i suoi ragazzi.
A testimoniare il legame tra lei e chi partiva, ci sono le cartoline “Signora Rosaria Bar S.Basilio,...” e proprio lì, nella vetrinetta del bar, li esponeva e chiunque li poteva leggere ricordando lietamente i tempi andati.
La lunga passeggiata, durata 87 anni, di cui 60 passati col suo compagno di vita, Salvatore Buemi, è stata ricca di eventi felici ma anche dolorosi, ma tutti vissuti con coraggio, fiducia in Dio e molto in se stessa.
Il 2 Febbraio ci ha lasciato e subito ci siamo sentiti dolorosamente smarriti, e via via che la notizia si diffondeva, ci giungeva da tante parti e da tanta gente la conferma che nella comunità si avvertiva la perdita di un punto di riferimento e della memoria storica che questa donna ha rappresentato.
Ma, sono sicuro che la generosità, il senso di solidarietà e la carica di ottimismo della sua vita rimarranno nel cuore e nella mente delle generazioni future del piccolo paese.
Infine, un augurio che il bar continui ad essere, non un semplice locale commerciale, ma un luogo di testimonianza di valori, di storia e di presidio di vita di una laboriosa comunità.
Ricordi di un fortunato nipote, David Anastasi
Tutto il tempo del mondo
Nino Belvedere
Ricordi quel tempo a San Basilio quando i nostri giorni erano scanditi dai ritmi eterni dell’aratura, della mietitura, della falciatura e della raccolta delle nocciole e delle olive ? E le nostre notti rischiarate soltanto dalla tenue luce della luna e delle stelle ?
Ricordi quella vita semplice, lontana da tutti e a contatto con la natura, che ha lasciato in tutti noi un marchio incancellabile, una profonda nostalgia della nostra infanzia contadina? Nelle nostre vanelle polverose sembrava essersi fermato tutto il tempo del mondo, poi d’improvviso, quell’esistenza sempre uguale è svanita, in pochi anni siamo stati proiettati nell’era dell’atomo, della conquista dell’universo e delle tecnologie avanzate, che hanno profondamente modificato e spesso cancellato le tradizionali dimensioni dello spazio e del tempo, ma che hanno anche inciso sul nostro modo di vivere creando sopratutto nuove relazioni umane. Il tuo bar, aperto proprio in quel momento, era il simbolo di questa metamorfosi: nuovo, lindo e colorato, aveva l’inebriante profumo del futuro, era il volto ammaliante della civiltà che finalmente, dopo tanto attendere, era arrivata, dirompente come un uragano, nel nostro microcosmo modificando abitudini cristallizzate nei secoli. A sinistra dell’ingresso, vicino alla finestra in alto, come una divinità pagana, s’ergeva il primo televisore del paese e nell’angolo di fronte nascosto dalla vetrinetta dei dolci c’era l’unico telefono che ci teneva in contatto con l’esterno. Lì arrivavano e da lì partivano le telefonate con tutti gli emigranti sparpagliati in Svizzera, Germania, America, Australia e ogni altra parte del pianeta. In quel piccolo angolo sussultava forte il nostro cuore, l’anima, il respiro di tutto un paese, e tu cara ‘zì Rusaja eri la custode attenta di tutto questo: avevi sempre, in ogni situazione, anche la più difficile, la parola giusta per tutti. Inconsapevolmente, ma con naturalezza, eri la mamma dell’intero paese, e come una mamma svolgevi quel ruolo come solo una mamma sa fare. A volte con noi, allora ragazzini, usando anche la fermezza e il giusto rigore, riuscivi a fulminarci con mezz’occhiata e nel bar all'istante non si sentiva ronzare neanche una mosca. Con la tua semplicità e saggezza sei stata anche la nostra educatrice, la miglior maestra. Sotto il tuo sguardo attento in quel luogo lievitava giorno dopo giorno la nostra crescita, e ognuno di noi, mattone su mattone, costruiva i propri sogni.
Ma tutti ricordiamo ancora con gratitudine quando improvvisamente uscivi dal bar zigzagando tra una sedia e il calciobalilla, attraversavi lo stradone e a pieni polmoni con tutto il fiato che tenevi in gola e nel tuo esile corpo chiamavi i parenti degli emigrati. Eri la prima a conoscere le belle e, purtroppo, anche le brutte notizie che arrivavano, e sul tuo viso si stampavano indelebili le prime emozioni della gente del paese.
Ora accade che, in piccoli villaggi come San Basilio, privi di ogni servizio o riferimento sociale, talune persone per necessità della gente assumano senza volerlo dei ruoli che esulano dalla loro funzione pubblica o privata. E tutta, tutta la comunità ti ha consegnato le chiavi del paese e tu ti sei accollata quel fardello sulle fragili spalle con passione, forza e fantasia geniale. Il tuo locale, aperto ogni giorno dall’albeggiare, quando la gente con le cavalcature partiva per la campagna, sino a notte fonda quando la parola fine della televisione e poi il clangore della saracinesca del bar mandava tutti a dormire, era la casa del paese. C’era tutto: lo stradone per passeggiare, la fermata della corriera, lo spiazzo della scuole per giocare a pallone, e poi c’era la scatola magica, la nostra finestra sul mondo.
E ricordi quelle lunghe maratone invernali alla televisione quando trasmettevano gli interminabili film sovietici eredi della celebre “Corazzata Pontionkin” e tu, come tanti di noi, non riuscivi a resistere e crollavi sullo schienale della sedia, ma non cedevi e con grande sopportazione aspettavi sino alla fine ? Io sogno ancora con l’acquolina in bocca i tuoi gelati, il profumo di limone che sprigionava il ripiano del bancone, la vetrina piena di dolci, quei dolci dalle giuste dimensioni, le liturgiche colazioni davanti al bar con la granita e i biscotti rotondi, quelli con i semi di sesamo, le infinite partite a calcetto, tresette e briscola. Ricordo le gazzose, e intanto, come in un film, scorrono nella memoria i fotogrammi di quell’infanzia povera ma felice.
Ma ognuno di noi ha tanti ricordi che, se li immaginassimo tutti insieme, le migliaia di pagine di questo sito non potrebbero contenerli. Ma nulla andrà perduto, e poi, ogni cosa non muore mai, e oggi, in questo istante, mentre ti scriviamo questa lettera, crediamo che il tuo bar resterà per sempre ciò che si augura il tuo amato nipote David, un posto che suscita ricordi ed emozioni, solidale, e nel tuo ricordo, cara ‘zi Rosaria, resterà per sempre la nostra casa, il riferimento per quei valori e quei sentimenti umani che sono germogliati e hanno preso forma in quelle quattro mura e che sono gli stessi che ci guidano nel difficoltoso mestiere della vita.
Ultimamente lo stradone sotto casa era sempre più muto e melanconico, non c’era più quel passeggio senza tregua che partiva dalle scuole sino alla prima curva in fondo al paese, non c’era più quel festoso mormorio che si sentiva in ogni canto del paese, non c’era più quel vitale guazzabuglio dei tuoi ragazzi che diveniva la vera sorgente della tua inesauribile energia. Quello non era più il posto che tu amavi, quel paese a cui avevi donato l’anima e tutto il tuo miglior tempo. Così, in un umido e ventoso giorno di febbraio, cara ‘zi Rusaja, hai deciso d’impulso, testarda come sei, di andartene e, aprendo le tue grandi ali, dolcemente hai spiccato il volo oltre le valli verdi e quelle montagne rocciose che al tramonto si tingono d’oro. Sia sereno come il nostro cielo questo tuo lungo viaggio nell’infinito, non prendere freddo, copriti coi raggi del sole, porta con te il ricordo che per tutti noi tu sei stata grande e importante, e lieve, lieve lieve ti sia la terra di Sammasì, sia bellu chistu viaggiu senza finri e grazie ‘zi Rusaja, da nuatri pi tuttu u timpu du munnu, grazie.