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ORIGINI DEL NOSTRO IDIOMA
Ritengo che quanto evidenziato in questo piccolo e disordinato dizionario, sia sufficiente a dimostrare che la fonetica sambasilese non possiede fenomeni dovuti all’influsso del substrato linguistico delle genti della Gallia Cisalpina.
Tuttavia, questo lavoro mira a sradicare ogni forma di disinformazione che potrebbe minacciare le origini del nostro lessico e la nostra fonetica francese e non la fantasiosa parlata delle masse di diseredati provenienti dall’Italia settentrionale. All’uopo va ricordato che in un articolo apparso sulla Gazzetta del Sud, datato 2 Giugno 1997, dal titolo «La lingua di San Fratello», si legge: «Il Gallo-italico che si parla ancor oggi come lingua madre a San Fratello è l’estrema vivente testimonianza di una vicenda storica risalente al XII secolo, quando Ruggero il Normanno etc.. Una lunga fascia di postazioni militari delle quali facevano parte San Fratello, Nicosia, Aidone, Sperlinga, Gerami ed altre località, le cui attuali denominazioni sono successive, adottò per secoli l’idioma Francese dei Conquistatori, ma questo si andò estinguendo con il trascorrere del tempo. Solo San Fratello, fra tutte, conserva ancora quella lingua per effetto della sua tetragona chiusura culturale». Poiché per Gallo-italico dicesi di alcuni idiomi dell’Italia settentrionale e
centro-meridionale che presentano fenomeni dovuti all’influsso del substrato linguistico gallico (vedi vocabolario), chi ha scritto l’articolo sopra citato, l’impetuoso ardimento non gli ha permesso di ponderare bene il significato intrinseco del suo Gallo-italico. Quanto alla pubblicazione apparsa su «Oggi» nel Settembre del 1998, n. 36, pag. 34 dal titolo: «A San Fratello parlano un dialetto franco-gallico», desta improvviso stupore perché non si capisce cosa significa, in questo specifico caso, Franco-Gallico. Il Franco si riferisce, forse, alle popolazioni che abitavano la Francia prima della conquista romana? Fra le righe di queste pagine si vuole riportare un altro articolo apparso su di un opuscolo dal titolo «Uno Sguardo su Novara» che recita: «La dominazione lombarda contribuì a creare una civiltà unitaria fra il 1061 e il 1072 da cui si sviluppò la Novara odierna, soprattutto la nuova lingua: il dialetto Gallo-italico parlato ancora oggi. Il Piazza afferma che il linguaggio dei coloni nel tempo della immigrazione era solo il lombardo che, per la frequenza con gli indigeni, divenne ben presto bilingue e ravvisa che il dialetto novarese è, per sua composizione fonetica: ligure per due terzi, lombardo per un terzo. Alla fine dell’ottocento il Gallo-italico si sarebbe conservato soprattutto nei villaggi». Si fa notare che il verbo creare è fuori luogo, stando alla legge di Lavoisier che recita: nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Quello che appare aberrante è l’affermazione del Piazza, almeno secondo l’articolo sopra citato, perché tra le righe si evince, senza ombra di dubbio, che gli indigeni parlavano ligure. Ammesso e non concesso che in questo strano paese (Novara di Sicilia) si sia delineata questa posizione fonetica, gli indigeni che avevano ereditato attraverso i millenni la volgarizzazione della lingua Fenicia e Persiana, Greca e Latina, Araba e Francese (d’oc e d’oil), si sono trovati sotto «le luci della ribalta» da dove vien fuori il bilinguismo (novarese e lombardo). Guarda caso che il ligure cadde su queste genti come manna dal cielo per due terzi, mentre il lombardo per un terzo. A questo punto va chiarito il seguente concetto: questi coloni (lavoratori dei campi) del Nord-Ovest dell’Italia settentrionale di ceppo linguistico germanico, che hanno subito l’influsso della lingua francese, hanno portato solo il seme della mescolanza genetica e le nude braccia, nulla di più (vedi storia dei nostri emigrati o la realtà migratoria odierna). Una ricerca accurata, accompagnata dall’esperienza quotidiana: è inverosimile che in soli undici anni si sia sviluppato, qui a Novara di Sicilia, il Gallo-italico. Diversi ragionamenti consigliano che queste sono tesi contrarie alla logica, cioè incoerenti e che la composizione fonetica risulta stranamente due terzi ligure e un terzo lombardo: se qualcuno avesse dei dubbi su quanto precedentemente descritto, si consiglia di fare ricerche «Sulle Pagine Gialle O Sulle Pagine Utili». In una siffatta tesi si può aggiungere, anche, che l’idioma sambasilese abbia subito l’influsso del Gallo-ispanico. Per completare questa tesi sul Gallo-italico parlato a S. Basilio di Novara di Sicilia, si vuole riportare qui uno stralcio del libro Festa dei Muzzuni ad Alcara interpretazione orgonomica tratto dalla ventinovesima adunanza del 15/2/1993 della società medico chirurgica mamertina. In questo libro leggesi: «San Fratello sorge vicino all’antico centro siculo di Appollonia, è famoso per il suo dialetto Franco-lombardo e per la sua Pasqua dei giudei etc. Sui monti che sovrastano Alcara sorgevano le antichissime città di Crasto e Demenna. Secondo il Moretti, dopo la distruzione di questa città, avvenuta per opera degli arabi, gli abitanti scesero a valle e si rifugiarono in Alcara, raggruppandosi però ognuno secondo la propria etnia, in differenti quartieri. I greci attorno al castello, i latini nel quartiere Nicolò, i lombardi che sopraggiunsero con i normanni completarono in seguito la cosmopolita realtà». Se fosse vero che il Franco-lombardo abbia fagocitato la lingua dei popoli indigeni, perché solo i Lombardi completarono la cosmopolita realtà e non i Normanni? La lingua degli Arabi, per esempio, di cui esistono ancora tracce inconfutabili in tutte le fonetiche della lingua siciliana, considerata ormai indigena, che fine ha fatto a San Fratello, a S. Basilio di Novara di Sicilia e paesi limitrofi? Si chiede agli esperti del Gallo-italico qual è il vero significato di queste due terminologie! Si coglie l’occasione per ricordare, inoltre che prima della fantasiosa dominazione lombarda (vedi opuscolo «Uno sguardo su Novara»), vi è stata in Sicilia la presenza dei Franchi o Galli che dal V sec. d. C. la Gallia o Francia era ormai di costume e di lingua latina e che non hanno saccheggiato le coste siciliane ma hanno letteralmente conquistato l’isola. L’idioma sambasilese è sì foneticamente, sotto certi aspetti, diverso dalla lingua delle genti della Sicilia ma si riconduce nella maniera più intrinseca alla lingua medesima (Fenicia, Greca, Latina, Araba, Normanna, Provenzale e Spagnola) con la fonetica Francese cioè della Gallia transalpina e non cisalpina. Si vuole ricordare inoltre che il termine colono sin dal periodo ellenico sta a significare chi lavora la terra in enfiteusi o contratto d’uso, mentre per colonia dicesi di un popolo mandato ad abitare un paese straniero con leggi del paese di origine. Ammesso e non concesso che i liguri, i lombardi, i piemontesi e gli emiliani giunti in Sicilia a seguito di Ruggero il Normanno, non fossero venuti come mercenari o coloni, bensì come colonizzatori, la conquista di questi popoli di antica origine celtica sarebbe stata vana e non si capirebbe il motivo dell’occupazione militare con leggi e istituzioni. Quello che desta improvvisa meraviglia è che alcuni ostentatori non si rendono conto che il Medioevo è, per certi aspetti, buio e misterioso, e se non si applica la necessaria attenzione si può trasmettere alle future generazioni interpretazioni errate o leggendarie.
(Nino Granato)
L’IDIOMA SAMASIOTTU
- Patua (patois) -
‘Nta sti urtimi enni aiu ligiudu tenti di chilli pauolli senza sinsu supra u Gallu - italicu parradu a Samasì di Nue’(Novara di Sicilia) quari nun si avio mai sintùdi e mencu visti ‘nto passadu chiu’ o mieru vegìu («e» muta): vucabulari cu puchissimi pauolli e diviersi scritti supra i giurnari da nuostra pruvincia.
Chistu parra’ Gallu-italicu divintàu argumintu di larga cunuscinza, che («e» muta) intiressa a p(“eu”)chi pezzi du tissudu du p(eu)puru e a carcadun di («un» da leggersi più o meno come nella lingua francese) chilli che “seu” di leggi e scrivi:
Sava riconusci che («e» muta) spissu a storia scrivi frischi pi fiaschi e che («e» muta) i ginti storpio e dijo ai quattru vinti quèntu di chiu negativu c’è ‘ntè lingui classichi.
Chista cunstataziuri v(“eu”) essi a primissa a na fàgiri dumanna: pi Gallu Italicu si diji de quarchi dialettu dell’Italia du Nord che prisenta fenomeri duvudi a prisinza linguistica francisi; enchi de dialetti de quarchi zuora isurada dell’Italia du Sud, unni si fermèu durènti u Mediuevu popuraziuri chi vinnu du Nord da penisura.
Quosa assai diviersa avi u significatu de culòri arbarisi o grecu - arbarisi che («e» muta) ‘nte timpi assai luntéu occupéu tierri da pinisura, furmènnu, tra l’autru, na cumurità enchi spirituari.
Chistu giustifica u fattu chi chisti popuraziuri dell’Italia du Nuord na v(eu)tta chi vinnu cuommu migrati senza liggi, sappo suttamietti o dialettu de l’abitanti du paisi, ammieru pe quentu riguarda Samasì de Nuè e paisi vegì («e» muta).
U dialettu samasiottu iève («e» muta) sì lingua, sutta certi aspetti, diviersa da lingua siciliara, ma si riconusci ‘nta manera chiù chiara che fà parti du dialettu sicilieu (feniciu, grecu, ladiru, arabu, francisi - d’oc e d’oil, svevu e spagn(eu)ru), ca cascada francisi, ecc.
(Nino Granato)
TRADUZIONE
Questo parlare Gallo-italico è diventato argomento di larga diffusione di massa che interessa solo pochi «strati» del tessuto intellettuale.
Si deve riconoscere che spesso la storia ci tramanda fischi per fiaschi e che le masse popolari, nel tempo, volgarizzano ed amplificano in senso sempre più cacofonico quanto di armonioso esiste nelle lingue classiche. In altri termini l’idioma sambasilese è immischiato con vari dialetti italiani di origine latino maccheronico, cioè costituito da parole di origine latina assoggettate alla morfologia e alla sintassi latina, al volgare della lingua greca e araba, francese (D’oc e D’oil) e spagnola; a questo punto è ragionevole sostenere che a S. Basilio vi è ancor oggi la massiccia presenza della lingua francese ecc….
(Nino Granato)