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Giuseppe Giannavola
BIOGRAFIA
Giuseppe Giannavola è nato nel 1974 a Caltanissetta dove vive e lavora. Giornalista pubblicista, ha contribuito con alcune sue foto alla realizzazione nel 2005 di “Karibuni Sheratoni Hotel” (Corrado Tedeschi Editore) per la Tumaini Onlus, nel 2009 ha pubblicato “Mera India” (Edizioni Lussografica) destinando i proventi al Progetto India (www.progettoindia.eu), nel 2010 “Lungo la Strada” (Edizioni Lussografica) presentato al 24° Salone Internazionale del Libro di Torino
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE
Un borgo di origine medievale, Novara di Sicilia, dal fascino nascosto, un formaggio di pregiata fattezza, il maiorchino, le cui origini si perdono nel tempo, un gioco dalla tradizione secolare, il torneo del maiorchino, che continua a sopravvivere per la tenacia e la passione del popolo novarese. A tutto questo patrimonio di storia e di cultura, ho voluto unire e intrecciare un racconto, frutto della mia fantasia, che ha trovato terreno fertile per svilupparsi nella sua seppur semplice trama, proprio mentre rincorrevo quella forma impazzita di formaggio, che si dimenava tra le vie del paese quasi fosse cosa viva, “U Maiurcheu”.
Non me ne vogliano dunque gli abitanti di questa splendida borgata se ho voluto ungere la sacralità delle loro tradizioni centenarie, con le gesta talvolta impudenti dei miei protagonisti.
La prendano non come mancanza di rispetto,ma come dimostrazione di quanto può far aprire e
viaggiare la mente uno spettacolo d’altri tempi che ancora si conserva per il piacere di noi presenti.
Giuseppe Giannavola
Prefazione
Nino Trifilò
La caratteristica ruzzola novarese, detta “ioccu da’ maiurchea”, che si svolge prevalentemente nei giorni carnascialeschi in un’atmosfera ludica e folcloristica, è apparsa per la prima volta attorno al 1650 con tendenza tipicamente e singolarmente di gioviale e ostentata esibizione, accentuata in quello scanzonato periodo quando quasi tutto, purchè lecito, è consentito sia per dare una nota di stravaganza e sia per conferire un distintivo di eccezionalità al suggestivo avvenimento che necessitava di tranquilla distrazione per sedare le acute e latenti turbe interiori.
Le recondite strade del paese che accolgono e assorbono, con grida di giubilo e con strida di delusione, l’entusiasno, l’euforia e l’esaltazione sono un invito al sano e gioioso divertimento consentendo pertanto ai giocatori ed agli astanti di estraniarsi dagli inciampi quotidiani.
La curiosa gara che consiste nel fare rotolare con solerzia per il centro storico una forma di formaggio pecorino del peso di circa dieci chilogrammi, con lanci da maestri del giuoco, si sviluppa per meno di un chilometro su scalinate, curve e discese fra due ale di tifosi, cultori ardenti, che partecipano attivamente con scommesse e con il sostegno partigiano all’animosa competizione , e termina quando l’ultimo giocatore, a parità di lanci effettuati, col maiorchino taglia, supera e va più lontano dell’avversario “da sarva”(dal traguardo).
Due squadre dal piglio ardito si contendono la vittoria del maiorchino, che attorcigliato attentamente alla circonferenza con una“lazzada” (mazzacorto)
per due giri e mezzo imprime al lancio maggiore volontà, potenza e sicurezza nella direzione voluta dal bravo ed esperto giocatore.
Tralasciando l’avvincente sviluppo del giuoco, rivestito di franco clima agonistico, il racconto del Giannavola, anche se favoleggiante e compendioso nell’essenzialità di fervori, di vivacità e di cenni documentali, in effetti attribuisce una umana dignità ed una condiscendenza virtuosa, sollecite alla riflessione che per i cabalisti di quesiti è un ottemperare per trarre auspici di giocondità e di frivolezza tanto superficiali quanto persuasivi per coloro che vivono di spiccioli e di insensibilità.
Chi presta attenzione nel leggere l’accorta narrazione si troverà inconsciamente avvolto in una atmosfera di borgo medioevale, che puntella le sue radici antiche anche con la stravaganza di un giuoco virile e festante e tanto originale nel differire il consueto che tende ad infastidire.
Nel diario dei giorni remoti la ruzzola di Novara di Sicilia (Me) è tramandata con purezza magica, rusticana e popolaresca, intensificata ed accomunata all’indocile passione allo svago, evocativo di omaggi alla spensieratezza e di ossequio alla giocondità.
La suggestiva ruzzola novarese, che ha in sé la storia secolare dei padri, sopravvive unicamente perché gli abitanti sono legati morbosamente alle tradizioni come cultura e dottrina del tempo, ch’ora sembra che si sia fermato per dare spazio ad una modernità senz’anima e diffidente delle consuetudini.
E’ pregevole nel Giannavola la paziente dedizione, l’attenzione e l’intenzione di dare risalto ad un giuoco dalle impronte storiche e connaturate
in un’ottica che ne testimonia la complicità ed il consenso in un paese montano e rurale, che gelosamente vuol conservare nel suo vetusto ambiente quel che gli è rimasto e lo adopera con comportamenti e con giudizi generosi da invogliare il compiacente turista alla conoscenza e alla tenace pratica di costumi e di usi antichi.
Il fare rivivere la tipica consuetudine è motivo di vitalità e d’incremento nostalgico e la rivisitazione di un pregevole giuoco, prettamente competitivo, è una assuefazione agli incontri amichevoli e alle presenze durature se non si vuole giudicarlo con insofferente sufficienza in una società che detesta e non vuole regolare l’andatura della vita con l’indifferenza e con le qualifiche umorali del tutto dettate dal disimpegno e dal rifiuto di apparire estrosi e festevoli.
Ogni appassionato e verace novarese porge anticipatamente un grazie doveroso al Giannavola per il piacevole saggio dimostrativo dell’inveterato giuoco della ruzzola novarese, che ancora resiste e prosegue, sebbene inquadrato in avvincenti tornei sotto l’egida del Comune e la tutela del circolo Olimpia, nella speranza che possa essere tramandato ai posteri per la continuazione e la valorizzazzione dell’ antica tradizione di cui l’ameno ed accogliente paese ne è diligente e orgoglioso depositario e custode.
Parte prima
(In allestimento)