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Elisabetta Sofia
GIROLAMO SOFIA
L'EROE DEL RISORGIMENTO NOVARESE
Ho voluto tratteggiare un breve ritratto di Girolamo Sofia per far conoscere le idee, le azioni e i sentimenti di colui che sicuramente fu il protagonista del risorgimento novarese. Per meglio comprendere il suo operato è importante conoscere il contesto sociale e politico della Novara di quegli anni.
La lotta risorgimentale a Novara ebbe un grave sfondo economico-sociale che ne determinò lo svolgimento, prima e dopo l'Unità. Novara vedeva contrapposte due classi sociali: da un lato la classe contadina, che versava in condizioni di miseria profonda e che rivendicava i feudi comunali (ed era questa, infatti, la prima causa di tutte le insurrezioni); dall'altro una borghesia dominante, in gran parte borbonica e socialmente conservatrice, che deteneva proprio quelle terre che non intendeva rilasciare, interessata solo alla propria conservazione economico-sociale. Sono anni contrassegnati da una lotta continua tra il movimento rivoluzionario e la reazione dei conservatori. Nel 1820 la tensione
sociale a Novara e dintorni era molto forte: il popolo si rifiutava di pagare la tassa sul macinato ed era insorto armato contro i ricchi. Ed è infatti dall'ideale di libertà dall'oppressione, dal bisogno, dalla fame, che nasce l'idea di Patria. La lotta politica è prima di tutto lotta sociale. Il popolo chiedeva una costituzione liberale e una prima giustizia sociale; lo stato di rivolta delle popolazioni locali trova, infatti, nella Carboneria una espressione politica e per la prima volta si sente parlare di libertà costituzionale e di Patria.
Dal primo balenare dell'idea nazionale fino alla costituzione dello stato unitario, Novara apportò un contributo di rilievo alla nascita della Patria. Sin dagli inizi del 1800 è un susseguirsi di movimenti, azioni, vi è un grande fermento di idee e di sentimenti che preparano all'Unità. In questo contesto protagonista indiscusso delle vicende risorgimentali novaresi è il Barone Girolamo Sofia.
Nasce a Novara nel 1780 dal più antico e nobile casato novarese. Nasce parecchi anni prima dell'Unità d'Italia, per cui è un precursore dell'Unità, è colui che compie quelle azioni, quelle imprese che porteranno all'Unità.
Studia nel Collegio di Bronte durante il periodo della rivoluzione in Francia. Catania era il centro del giacobinismo siciliano e le idee della rivoluzione francese arrivano sin dentro le mura del Collegio di Bronte e affascinano il giovane Girolamo. E' qui che incomincia a maturare il suo sentimento di Patria. Da Bronte passa a Palermo e nel 1812 partecipa alla prima congiura accanto al Principe di Castelnuovo. E' la prima esperienza democratica siciliana con cui inizia il suo cammino politico. Si schiera col partito democratico e inizia la sua incessante attività.
Gli anni successivi furono anni di studio e di esperienze: conosce uomini, stringe amicizie con quelli che poi vedrà al suo fianco nelle varie azioni, incomincia a programmare la lotta politica di liberazione, afferma il suo pensiero politico.
Nel 1820 la Carboneria era diffusa in tutta Italia.
In questo contesto Novara, nel 1820, era uno dei centri più attivi delle cospirazioni ed insieme a Montalbano e Furnari costituiva il cosiddetto “triangolo della carboneria”. Girolamo Sofia diviene il capo della carboneria della zona e attorno a lui si raccolsero un gruppo di uomini, anche dei centri vicini: il fratello Giovanbattista ed il nipote Francesco (che diventerà poi il primo Sindaco dell'Unità d'Italia), Antonino Rao, Ferdinando Colonna, Calogero Lombardo, Ugo Affannato, il sac. Occhiuto di Furnari capo del gruppo di Furnari. Le riunioni dei Carbonari, c.d. vendite, avvenivano nel caseggiato dei Sofia al Passitto, dove era sorta l'antica Novara, perseguitati dalla polizia borbonica e dalla nuova ricca borghesia novarese; egli aveva relazioni con i Comuni vicini – Montalbano, Tripi, Furnari, Falcone, Francavilla – e con gli altri centri dell'isola, Messina e Palermo, fino alla Calabria.
Don Girolamo Sofia sposa donna Silveria Galluppi, dalla quale avrà numerosi figli, cugina del filosofo Pasquale Galluppi di Tropea, autore di una serie di scritti liberali che costituiscono i primi atti di accusa contro il regime borbonico: Galluppi era un folosofo liberale per cui il pensiero di Galluppi si unì, così, all'azione di Girolamo Sofia. Da esperto politico, con il cugino Galluppi e con il gen. Rossarol, capì che prima di iniziare la rivolta, era necessario unire le due città rivali, Messina e Palermo, storicamente rivali. Il suo pensiero si diffonde velocemente e le sue azioni andranno oltre i confini del territorio novarese: egli diventa un punto di riferimento e di forza per tutto il circondario e per una parte dell'isola.
Nel maggio del 1823 Girolamo Sofia col gruppo dei carbonari e circa 800 uomini raccolti nei paesi vicini e con accanto il cugino Galluppi organizza la c.d. “Congiura dei Messinesi”. La congiura viene scoperta e scoppia la reazione delle truppe tra persecuzioni ed arresti. Da Castroreale vengono mandate truppe borboniche per perquisire di notte le case di Don Girolamo nella campagna di Scellia, e a Furnari: non rinvenendo nulla lì l'esercito si dirige a Novara dove per giorni assedia il territorio e soprattutto il caseggiato Sofia al Passitto. Arriva poi il tragico agosto: il 19 agosto del 1823 muore l'ultimo figlio di Girolamo Sofia, Luigi di pochi mesi e cinque giorni dopo, il 24, muore la moglie Donna Silveria. I vecchi novaresi hanno ricordato che Don Girolamo, latitante, per porgere l'estremo saluto alla moglie, sia giunto segretamente a Novara attraverso passaggi sotterranei che esistevano al Castello, travestito da monaco per eludere la gendarmeria borbonica che presidiava la sua casa del Passitto. E' affascinante notare come in quest'uomo si intrecciano eventi politici e disgrazie familiari.
Don Girolamo è latitante per due anni, fino al 1825, quando viene arrestato a Montalbano e trascinato nelle prigioni, prima della Cittadella di Messina e poi nel Forte di Castellamare a Palermo. Conclusosi il lungo processo il Barone fu condannato a otto anni di carcere, pena in parte commutata con l'esilio, il nipote Francesco a sei anni. Gli altri carbonari novaresi furono liberati. Intanto la fama di quest'uomo si diffonde in tutta l'Isola ed anche oltre fino alla Calabria: il suo coraggio, il disinteresse, le disgrazie, le carcerazioni formano i discorsi dei liberali.
Uscito dal carcere fu in esilio a Livorno dove incontrò Mazzini nel 1830, il quale era lì per raggruppare nuovamente i patrioti e gli esuli che si erano rifugiati in Toscana. La Carboneria oramai aveva fatto il suo tempo ma ad essa si sostituì l'idea repubblicana mazziniana della Giovane Italia, di una Italia unita, libera, indipendente e repubblicana.
E' il 1830: insorgono Modena, Bologna ed anche Roma contro i Papi alla cui congiura dei Bonaparte nel 1831 partecipa anche il Barone Sofia. Ma le rivolte vengono soffocate.
Intanto Girolamo Sofia, rientrato dall'esilio, trova la Sicilia sempre più oppressa dai tiranni. Costretto a nascondersi nella sua villa di Furnari e nonostante i fallimenti delle varie rivolte, mantenne sempre viva l'idea di Patria e di libertà nazionale. Attraverso il nipote Francesco mantiene le sue corrispondenze. Nel 1837 si riaccendono i sentimenti patriottici con i moti di ispirazione mazziniana. Devono passare altri dieci anni per innalzare il primo tricolore.
Ed ecco il 1847. Ancora una volta la questione politica si intreccia con la questione demaniale, la rivoluzione dei patrioti significa anche giustizia sociale: il proletario novarese versava in condizioni di esasperata e secolare miseria, il re borbonico (Ferdinando II) aveva emanato delle norme che prevedevano lo scioglimento dei feudi e l'assegnazione delle terre ai contadini, doveva quindi avvenire la quotizzazione delle terre, ma la borghesia locale (borbonica) non intendeva cedere queste terre. Ancora una volta, come nel 1820, il malcontento delle masse popolari fa da spinta alla forza rivoluzionaria. In queste condizioni, il Barone Sofia organizza con gli altri compagni messinesi l'insurrezione di Messina del 1° settembre. Il giorno seguente insorgono Novara ed i paesi vicini.
Il figlio Mario porta a Novara il primo tricolore, ricevuto a Messina dal Comitato ed il 2 settembre 1847 Don Girolamo lo innalza alla sua casa al Passitto, propugnando i principi di libertà. La reazione dei conservatori non si fece attendere. Per quindici giorni il Capo Urbano Girolamo Stancanelli perseguiterà i patrioti del primo tricolore con la Guardia Urbana costituita dai c.d. “buoni ed onesti proprietari” borbonici, cioè da coloro che difendevano la proprietà contro ogni rivendicazione sociale. Dall'altro lato Girolamo Sofia col gruppo dei patrioti. Lo Stancanelli non osò però scontrarsi direttamente con il Barone Sofia ed attese l'arrivo dell'esercito borbonico per fronteggiarlo. La lotta fu, quindi, tra proprietari borbonici e popolo di Novara. Per la seconda volta, come nel 1823, l'esercito borbonico soffoca la rivolta seminando il terrore a Novara e negli altri Comuni. Vengono emessi gli ordini di arresto per Girolamo Sofia ed i figli Angelo e Mario, per il nipote Francesco, per Calogero Lombardo, Ugo Affannato, il sac. Occhiuto e Pietro Castelli. Il processo si concluse con una amnistia per tutti, tranne per il Barone Sofia che fu arrestato e torturato nella Cittadella di Messina per poi essere liberato dagli insorti del 1848.
1848. Per tutta la primavera del '48 Don Girolamo ritorna all'azione: riorganizza le squadre dei volontari di Novara e dei paesi vicini ed accorre, a sessant'otto anni, per combattere contro i borbonici che si erano ritirati nella Cittadella. Gli uomini delle squadre erano in gran parte artigiani; in quella di Novara vi erano anche 13 “galantuomini” e tra questi anche Gioacchino Bertolami, fratello di Michele Bertolami.
Oramai il vento di libertà attraversava tutta l'Italia: insorgono Milano, Venezia, Parma e Modena e anche i Savoia decidono di intervenire. In Sicilia i repubblicani mazziniani messinesi fronteggiano da soli le truppe borboniche ma sono costretti alla fuga. Il 2 settembre l'esercito borbonico inizia il più feroce bombardamento nella storia messinese: la città viene in gran parte distrutta o bruciata e rioccupata. I profughi di Messina, con a capo il Barone Sofia, sono costretti a rifugiarsi a Palermo dove, come scrisse Gaetano Borghese nel “Cenno biografico su Barone Girolamo Sofia” – Estratto dal Giornale “La Campana della Gancia” del 26 agosto 1861 anno I n. 120 - Palermo 1861, “egli veniva festeggiato ed onorato e portava in mezzo agli applausi di un intero popolo il vessillo tricolore alla piazza della Fieravecchia, predicando ed incoraggiando quella immensa moltitudine”. L'esercito borbonico rioccupa l'isola.
Ritirato nella sua villa di Furnari, anche se quasi ottantenne, spera in tempi migliori.
Arrivò il 1859 e avvertiva il presagio della libertà della Patria. Scrive, infatti al figlio Francesco: “Siamo, mio caro, alla vigilia della Libertà ed Indipendenza della madre Italia. La Toscana e la Centrale della Penisola ci additano il punto della bussola a cui dobbiamo mirare e invero è questo il punto che nei loro scritti ci hanno additato i maggiori sapienti Italiani, la Unità di tutti che parlano la lingua di Dante” (tratto da “Cenno biografico del Barone Girolamo Sofia” di Gaetano Borghese, 1861).
Arriviamo all'11 maggio 1860. Garibaldi sbarca a Marsala. A Novara Francesco Sofia, nipote di Don Girolamo, presiede il Comitato insurrezionale novarese, aspettando il momento dell'azione. Ritorna a sventolare per le strade di Novara il Tricolore del '47. Il 16 giugno il Governatore di Castroreale scioglie l'amministrazione borbonica e nomina Francesco Sofia Presidente del Municipio, il quale tenta di conciliare nella sua persona i due partiti che si erano fronteggiati nel Risorgimento, quello rivoluzionario e quello borbonico. Il nipote del Barone Sofia è il primo Sindaco italiano di Novara. Intanto Garibaldi opera la liberazione del Meridione. E' il pomeriggio del 14 febbraio 1861 giunge a Novara il Corriere che annuncia la fine del regno borbonico. Francesco Sofia ordina che tutte le campane delle 16 chiese suonino a distesa. Si festeggia in tutte le piazze e strade del paese, vi è una grande gioia nel cuore di tutti i cittadini. Al suono di quelle campane moriva, al Passitto, ottantenne e malato, Girolamo Sofia, mentre si avverava il suo sogno di antico carbonaro. Gaetano Borghese, nel Cenno biografico sul Barone Girolamo Sofia descrive così quei momenti: “erano il quattordici febbraio, uno scampanio straordinario scuoteva tutti gli abitanti, una musica allegra anima i cuori, gran gioia nelle piazze ed in tutte le strade, ogni cittadino esultava con voci di giubilo e di contento......una notizia è giunta.....Gaeta è presa! Il barone Sofia l'ascoltava e spirava!....
Egli non potè vedere unita quell'Italia per la quale aveva lottato, col cuore e con la mente, per ottanta lunghi anni, sacrificando le gioie della vita, i figli e la famiglia. Alla porta della Madre Chiesa, dove egli fu portato, si leggeva il giorno delle esequie il seguente epitaffio:
Al Barone Sofia
A lui che aspra guerra mosse sempre ai tiranni
Al vecchio martire della libertà
O fratelli redenti
Della più feroce tirannide
invocate con fervide prece
Dal Dio dei giusti la calma dovuta
Ai martiri figli della Patria
(tratto da “Cenno biografico sul Barone Girolamo Sofia” di Gaetano Borghese).
Elisabetta Sofia