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Giovanni Barresi
1440
La pietra di Giuda
Il nuovo romanzo di Giovanni Barresi
Presentazione
Un clan di zingari si trova coinvolto nell'omicidio di un barone ginevrino innamorato di una giovane gitana, la preferita del capo del Popolo dei Carri. Scompare anche la biblica Pietra della profezia di Zaccaria, la quale doveva stabilire una nuova alleanza tra Dio e gli uomini. I soldati del barone, comandati da un capitano di ventura italiano, insieme ad alcuni templari, inseguiranno gli zingari e da Ginevra arriveranno fino a Nantes, in Bretagna, dove sperano di far decifrare il glifo inciso dal pugno di Dio, ad un occultista aretino, Francesco Prelati, che si trova presso il barone Gilles de Rais, il quale ambisce ottenerne l'oro filosofale. Gilles, il primo serial killer documentato dalla storia, e Prelati, sono personaggi autentici. Inventati gli altri. Nel settembre 1440 il barone bretone sarà impiccato e bruciato per omicidio, sodomia ed eresia. La ricerca della lussuria e della ricchezza, nonché l'ambizione personale, sono i motori che spingono buoni e cattivi di questo romanzo, che ha un epilogo ironico, ma che fa riflettere: così come gli uomini, anche i demoni possono pentirsi.
Editore: Kimerik
Collana: Kimera
Disponibile sulle principali librerie online: amazon, feltrinelli,mondadori,unilibro;
sul sito dell'editore Kimerik
e nelle principali librerie di Messina (Ciofalo, etc) e Barcellona (Gutenberg)
Giovanni Barresi | |
Quasi una biografia ed altro…
Giovanni Barresi nasce a Messina l’01.12.1962. La madre è messinese, il padre è nativo di Bafia, nel comune di Castroreale Terme, e questa origine dai monti peloritani centro-occidentali sicuramente pesa nello spirito del ragazzo e alberga ancora nell’animo dell’uomo maturo.
All’indomani del diploma al liceo classico La Farina in Messina, dove fu allievo della Professoressa Vittoria Gigante, nota poetessa novarese, si trova a dover scegliere a quali studi dedicarsi. Fisica? Scienze? Filosofia? Medicina? La Normale di Pisa sì è scomodata per offrirgli la possibilità di studiare Fisica, ma Giovanni da un anno ha una fidanzatina, che diverrà sua moglie, e non vuol muoversi da Messina; un cugino medico gli suggerisce la possibilità di iscriversi in Odontoiatria, allora unico Corso di laurea a numero chiuso, il ragazzo si prepara da solo, arriva primo al concorso e gli si apre la possibilità di lavorare dopo appena cinque anni e l’esame di abilitazione. Seguiranno anche la Laurea in Medicina e Chirurgia, la Specializzazione in Chirurgia Generale, la Formazione in Medicina e Generale, ma il rapporto con l’universo mondo non cambierà, l’attenzione per la Storia, la Letteratura, l’Etologia, l’Archeologia, l’Antropologia lo porteranno a scrivere, scrivere, scrivere, sì che quando il Professore Cucinotta, cattedratico di letteratura italiana, presiedendo alla presentazione di una sua raccolta di racconti, ”Storie d’armi e d’amore”, lo definirà un medico-umanista, Giovanni Barresi poté darsi una risposta al quesito che si poneva da tempo, ovvero chi fosse realmente.
Come nasce Doppio Scambio, ovvero come un giallo con romanzo storico viene concepito, portato in grembo e partorito da uno scrittore
Scrivo in prima persona, ché sono proprio a scriverti, lettore paziente e curioso, l’autore di “Doppio Scambio”.
Nel 2004 pubblico per i tipi di Lapalma di Palermo, casa editrice italo-brasiliana del compianto mecenate dr.Mazzone, una raccolta di racconti, costituita da tre sezioni, una di racconti storici con brevissime note esplicative per chi è digiuno o quasi di storia, un’altra di racconti brevissimi con sorpresa all’ultima riga, l’altra di racconti e… basta. La chiamai “Storie d’armi e d’amore”, perché di ciò là si parlava. Per l’appunto, il dr.Mazzone mi chiese di ampliare uno dei racconti, sì da poterne fare un romanzo storico. Ero perplesso, ma volli accettare la “sfida”. Generalmente amo la brevità, un romanzo mi appariva estraneo, però… la tentazione era bastevole per farmi prendere la tastiera, ché la penna l’avevo abbandonata da anni, anche se qualche capitolo lo scriverò con la biro, ché mi trovai ispirato e non avevo il computer appresso.
C’era un altro problema, volevo misurarmi in un giallo; già da tempo mia moglie, sì proprio quella fidanzatina di cui ho accennato nella biografia, appassionata di gialli, mi aveva chiesto di scriverne uno, ma io, dopo averne iniziato un capitolo in un periodo in cui amavo scrivere tragedie con coro greco annesso, ed aver smesso perché troppo preso dai miei opliti ellenici e guerrieri sicelioti, mi sentivo in debito nei suoi confronti, allora ecco che mi si parava davanti lì occasione per fare l’uno e l’altro. Giallo e romanzo storico. Ne parlo nell’incipit del secondo capitolo di Doppio Scambio, ma ribadisco qui, qualora tu, o lettore, non eri presente alla presentazione del libro il 23 agosto a Novara di Sicilia, che il romanzo non è autobiografico, sebbene il protagonista sia un medico scrittore.
La scelta del racconto da sviluppare me la suggerì proprio il buon Mazzone, per il giallo provvidi personalmente, bastò guardarmi attorno.
Soprassediamo alla storia di Adelasia e Gauterio, gli amanti del romanzo storico, mi raccomando però, non come faceva Franco con Ciccio, che ci troveremmo tutti a terra, e vediamo questo giallo di casa nostra, o meglio, di casa vostra.
Mia moglie, eh sì, bisogna parlarne ancora… è titolare di Continuità Assistenziale a Novara, ma prima, benché a Novara vi avesse già lavorato da sostituta (ma questa è un’altra storia, anche se è per questo che partecipai e vinsi due volte il concorso letterario per la sezione racconti nel vostro ameno borgo), era titolare in quel di Scaletta Zanclea. In quella postazione i locali erano condivisi con il servizio di Emergenza Territoriale, un po’ come a Novara, e quindi si veniva per forza di cose in amichevole contatto con i colleghi e il personale tutto del 118.
Io a mia moglie sola non la lascio.
Nooooooo, ma che avete capito, non trattasi di bieca gelosia siciliana, ma non avete mai letto negli anni recenti di qualche medico di continuità assistenziale, sì, insomma di guardia medica come si diceva una volta ufficialmente e si continua a dire ancora per intendersi, aggredito ed anche ucciso da malviventi? Ecco bene, anzi male, io a mia moglie non la lascio sola.
Allora facendo amicizia con questi colleghi mi è venuto naturale immaginarmene qualcuno alle prese con qualche morto ammazzato, il posto (sì, il posto, che se scrivo location mi sento un idiota…) però mi sembrava bello e giusto che fosse Novara. Si prestava per via dei tornanti sul baratro all’idea di vedere una macchina con tanto di avvocato fracassati nel dirupo, il resto per uno ch’è naturalmente dotato di fantasia, altrimenti lo scrittore non lo può fare, è venuto da sé. Ma adesso mi pare che mi sono dilungato, mi par che sia arrivato il momento di chiudere, ma… continuo altrove, se ti sei interessato alla cosa troverai il link giusto, a dopo, ciao.
Ma perché “Doppio Scambio”
Altrove accenno al fatto che un avvocato finisce in un dirupo, giù giù, con la macchina oltre i guarda-rail della statale che collega Mazzarà S.Andrea a Novara, ma sorge il dubbio sull’identità della persona, benché il cadavere fosse stato riconosciuto dalla moglie, seppure sfigurato. Il morto è l’avvocato penalista Filippo Torre, oppure, come sembrano le indagini appurare, è di un povero disgraziato, magari un rumeno ubriacato e messo all’uopo al posto dell’avvocato che ha i suoi buon motivi per scappare all’estero? E questo sarebbe il primo scambio di persona. E l’altro?
L’altro, e questo è certo che avvenga, è lo scambio tra Adelasia del Vasto, promessa sposa al Granconte Ruggero il Normanno, e la cortigiana longobarda Romualda. L’idea è di Enrico del Vasto, fratello della prima e amante della seconda. Questo servirà ad ingannare Ruggero, che ancor non ha mai visto in volto Adelasia, data la somiglianza tra le due donne. Così si potrà coronare il sogno d’amore tra Gautiero Garres, amico di Enrico, e la bella Adelasia. Il romanzo storico vien scritto da Paolo Oteri, il medico del 118 che fu chiamato a soccorrere l’amico avvocato finito nel burrone. L’idea dello scambio che sta attuando nel romanzo, lo porterà a sospettare di uno scambio anche nell’indagine, cui suo malgrado sta collaborando, tiratoci dentro dal maresciallo Cardile e dal giudice Bertolami, suoi amici.
E perché proprio a Novara?
Novara… quand’ero piccolo per me Novara era un posto misterioso. Si raccontava che cadeva la neve d’inverno… la neve… e chi l’aveva mai vista la neve? Quando con mio padre andavo a Bafia d’inverno la neve non l’avevo mai vista. Per rendere il posto ancor più importante ecco che il mio maestro delle elementari, Gaetano Sabato, con l’intelligenza inversamente proporzionale all’altezza, casualmente viene proprio da Novara, a proposito, era più basso di tanti di noi scolari, di quinta, d’accordo, ma sempre scolaretti. Fu mio Maestro dalla seconda alla quinta, e già lo era stato di mio fratello. Un uomo, un gigante della pedagogia. Era forse dunque destino che quando vidi Novara per la prima volta, le sue strade, i monumenti e i paesaggi trovassero uno spirito già predisposto a recepire il bello e l’antico che li pervadeva. Novara fu il primo paese in cui partecipai ad un agone letterario, che vinsi con un racconto, “L’ultima partita”, seguirono poi altre soddisfazioni, ancora a Novara, Taormina, Cefalù, Milano, Messina. Insomma Novara meritava che le dedicassi qualcosa, anche perché qui si parla il dialetto gallo-italico, quello portato dai lombardi al seguito di Adelasia del Vasto nel 1189, la marchesina protagonista del romanzo storico scritto dal medico protagonista a sua volta del giallo che si apre a Novara e si conclude a Madrid. E poi a Novara avevo fatto amicizia con il Prof.Labisi, catanese di nascita e novarese d’adozione, studioso del gallo-italico, che mi aveva incuriosito con le sue ricerche e a cui dedicai anche un racconto pubblicato sulla rivista di cultura Margine Esterno: La battaglia del Longano.
E Antonello da Messina? E Maiorana?
Al primo viene dedicata la copertina di Doppio Scambio perché il protagonista del giallo, il dr.Paolo Oteri, ne vede una copia di un suo famoso ritratto nello studio del giudice Bertolami, e poi un quadro autentico in un museo a Madrid; la copia e il quadro sono dei ritratti, il primo d’un uomo ed il secondo di un giovane, entrambi misteriosi, che con i loro sorrisi sembrano irridere al malcapitato medico-investigatore suo malgrado, e poiché i ritratti sono una copia del reale, e addirittura il primo è una copia della copia del reale, si schiaccia l’occhio ad un simbolismo che si riferisce all’eventuale scambio di persona del romanzo. Stesso è il motivo per cui si dedica l’intera opera (non vi spaventate, circa 220 pagine…) al fisico Maiorana, che scomparve senza lasciare traccia di sé, né si potè sapere se fosse morto o espatriato, quasi come il nostro avvocato penalista Torre, probabile vittima del nostro giallo novarese; Maiorana, che visse e morì secondo il principio
della fisica che troverete nella dedica… se siete stati incuriositi da queste mie parole…
(Ottobre 2011 - La redazione)
QUASI UNA PRESENTAZIONE
La danza della scrittura
Da anni Paolo Oteri lavora come medico del servizio di emergenza tra le montagne in un paesino di cui conosce ogni angolo, ogni alba e ogni tramonto. Oteri percepisce sulla pelle il fiato di quelle vallate e conosce ogni palpito, ogni piccola e grande storia di quella gente, con la quale ha stabilito un rapporto simbiotico e fraterno. Un paese dove il tempo scorre lentamente, dove, nonostante tutto, esiste ancora una rete sociale e si vedono le facce vere. Perché quei geni che hanno creato i social network, in fin dei conti, non hanno inventato nulla, semplicemente hanno copiato alla grande, perché a Novara di Sicilia Facebook, nel bene e nel male, esiste da sempre, in carne ed ossa e non é virtuale. In questo fazzoletto di mondo, dove di solito tutto arriva con calma da fuori, accade un fatto imprevisto, un strano incidente che mette in subbuglio la piccola comunità. Oteri viene coinvolto in questo evento misterioso.
Pubblicato da Aracne (Roma) e presentato a Novara il 23 agosto 2011, Doppio scambio è un’opera molto complessa che si pone, tra l’altro, il tema dell’arte dello scrivere, difatti si tratta di una vicenda in cui il protagonista, coinvolto in un omicidio, nel tempo libero si diletta a dare vita a un romanzo storico che rievoca le origini umane, spirituali e culturali di quella comunità, in breve, la finzione nella finzione, la finzione elevata a potenza.
Nella incisiva narrazione storica di Oteri (Barresi) atterriamo a Savona sul palcoscenico degli ultimi anni del dodicesimo secolo, quando i cosiddetti lombardi partivano dal Nord per colonizzare la Sicilia, non più dominata, ma ancora sotto l’ influsso della cultura araba. Il nucleo della vicenda è rappresentato dall’amore struggente tra Gautieri Garres e Adelasia Del Vasto, promessa sposa di Ruggero, sessantenne Granconte di Sicilia. In questo caso verità storica e finzione diventano così intime, si attorcigliano talmente, ti coinvolgono emotivamente da farti dimenticare la differenza fra le due. La finzione diventa realtà e viceversa in un vertiginoso alternarsi. Il segreto è tutto nella forza della prosa che le amalgama, una scrittura elegante, rigorosa e lirica, eppure mai stucchevole o leziosa, che ci restituisce intatta l’atmosfera del medioevo. Inoltre ritengo bella e gratificante l’idea di prendersi una rivincita sulla pesantezza e brutalità della Storia creando un’ulteriore leggenda su un personaggio straordinario come Adelasia, già mitico di suo. Una mistura azzeccata di tecnica e inventiva. La perfezione di un diamante.
Alla narrazione storica si affianca , quasi a creare un controcanto, il giallo della morte dell’avvocato Torre, che viene trovato al fondo di un crepaccio sfracellato e irriconoscibile, si tratta di suicidio?, omicidio?, incidente?, forse un efferato delitto passionale o qualcosa di livello superiore, la longa manus della mafia? Conducono le indagini il maresciallo Cardile e il giudice Bertolami; ma chi può aver commesso questo delitto, che ruolo giocano Elisabetta, l’amante psicolabile dell’avvocato che è pure in stato interessante, e Pia, la conturbante moglie di Filippo Torre sulla quale si stratificano le attenzioni di Oteri, u femminaro, prodigo nel dare suggerimenti e consigli alla polizia, ma non è che sta portando di proposito fuori strada i suoi amici inquirenti ? E Pippo Bombetta, Paolo e Michele, i bonaccioni ausiliari del servizio di emergenza, sempre ai margini della contesa giudiziaria, siamo sicuri che siano del tutto estranei? Un rompicapo. Tutto sembra una matassa inestricabile ma alla fine, nella seducente Madrid, la verità comincia a farsi strada e gli alibi cominciano a evaporare. In questo racconto l’autore, senza più argini storiografici e formali, libera la sua scrittura che diviene un torrente in piena; ironia, teatralità, istrionismo, versatilità e gusto dello scrivere tratteggiano con forza decine e decine di personaggi che sembrano i tasselli di un puzzle che ci riproduce, anche, il volto ammaliante e contraddittorio del paese.
Quindi due romanzi indipendenti in un libro?, come parrebbe a una fugace e banale osservazione, ma neanche per sogno!, anzi, un’opera corale che cerca di raggiungere la sua unicità, due vicende annodate da un invisibile filo rosso che si tendono la mano a cavallo di dieci secoli e che appartengono profondamente alla storia e all’attualità di Novara. Una specie di Giano bifronte letterario, una struttura talmente complessa da divenire, infine, lineare. Un romanzo teso alla ricerca di nuovi orizzonti espressivi, che deve essere letto così come suggerito da Barresi, infatti, con l’alternarsi dei due canti, si dà vita a un ritmo armonico che via via si trasforma in una vera e propria danza della scrittura, una specie di tarantella siciliana, una ragnatela a lungo architettata e meditata sin nei minimi particolari, un incantesimo che ci sequestra senza possibilità di scampo.
Quando leggo un romanzo voglio ch’esso mi strattoni e infiammi la mia curiosità, mi renda perplesso e solo a sprazzi affrancato, devo quindi ammettere che come lettore, pur apprezzando le narrazioni canoniche, uniformate e edificanti, in particolare ho un debole per le quelle che si sganciano dalla consuetudine e si avviano, con coraggio, verso il terreno scivoloso dell’ innovazione, che rischiano la rottura dell’osso del collo.
Durante le feste di mezz’agosto ho assistito alla presentazione del libro di Barresi che mi ha stuzzicato molto, perché sicuramente appartiene a questa categoria, appunto, in questa sua fatica l’autore dimostra di avere, oltre che idee notevoli, anche la tenacia e la capacità di saperle realizzare. Questo spericolato Doppio scambio esalta la vocazione stessa della letteratura a essere non-rassicurante, cioè capace di suscitare più dubbi che certezze, e ne celebra la dimensione sperimentale, spiazzante e irrazionale che devono avere i romanzi e l’arte in generale.
Ma il mio giudizio – come sosteneva la grande scrittrice e critica Virginia Woolf - non è che una visione a volo d'uccello della cuspide di un iceberg. Tutto il resto è sott'acqua.
Di sicuro, al di là delle trame e dei grovigli narrativi, degli stili e dei sillogismi, del ritmo, dei linguaggi, delle vicende narrate e delle intime motivazioni dell’autore, in Doppio Scambio, ciò che affiora in modo evidente, quello che rimane ancorato -forever- nella memoria, è il legame delicato tra l’autore e la comunità novarese, un sentimento che Giovanni celebra nel modo più grande e affettuoso possibile, scegliendo d’ambientare la sua opera nel paese della neve.
ALMOST A PRESENTATION
The dance of writing
For years, Paolo Oteri works as a doctor of emergency service in a village in the mountains where he knows every corner, every sunrise an every sunset. Oteri feels on his skin the breath of those valleys and he knows every heartbeat every little and great history of those people, with whom he established a symbiotic and fraternal relationship. A place where time passes slowly, where, despite everything, there is still a social network and you can see the real faces. Because those genes of social networking, after all, did not invent anything, in Novara di Sicilia Facebook, for better or for worse, has always existed in flesh and bones and is not virtual. In this place, where everything usually comes slowly from the outside, an unexpected event happens, a freak accident that puts the small community in an uproar. Oteri is involved in this mysterious event.
Posted by Aracne (Rome) and presented in Novara August 23dr, 2011, Doppio scambio is a very complex task that arises, among other things, the theme of the art of writing, in fact it is a story where the protagonist, involved in a murder in his free time enjoys writing a historical novel that evokes the origins of human, spiritual and cultural needs of that community, in short, the fiction in the fiction, the fiction elevated to power.
In incisive historical narrative of Oteri (Barresi) landed at Savona on the stage of the late twelfth century, when so-called Lombard departed from North to colonize Sicily, no longer dominated, but still under influence of the Arab culture. The core of the story is represented by the consuming love between Gautieri Garres and Adelasia Del Vasto, betrothed bride of Ruggero, the 60 years old Granconte of Sicily. In this case, historical truth and fiction become so intimate, so twist, involve you emotionally to make you forget the difference between the two. The fiction becomes reality and vice versa in a dizzying succession. The secret is all in the power of prose that the amalgam, a writing elegant, lyrical and rigorous, yet never cloying or mawkish, that returns intact the atmosphere of the Middle Ages. Also, I think the idea of beautiful and rewarding to take revenge on the heaviness and brutality of history by creating another legend of an extraordinary character as Adelasia of his already legendary. A mixture of technique and creativity apt. The perfection of a diamond.
The historical narrative is accompanied, as if to create a counter, the yellow of death of the lawyer Torre, which is found at the bottom of a crevasse and mangled beyond recognition, in a suicide’ Murder’ Accident? Perhaps a heinous crime of passion or something higher level, the long hand of Mafia? Marshal Cardile and Judge Bertolami conduct investigation, but who could have committed this crime, what role they play Elisabetta, the mentally unstable lover of the lawyer who is also pregnant, and Pia, the perturbing wife of Filippo Torre on which stratify the attention of Oteri, u femminaru (Playboy), generous in giving tips and advice to the police, but is he leading off the road his friends investigators? And Pippo Bombetta, Paolo and Michele, the easy-going Auxiliars of emergency service, always on the edge of the judicial dispute, we are sure they are completely unrelated? A puzzle: Everything seems a skein inextricable but in the end, in the seductive Madrid, the truth begins to emerge, and the alibis begin to evaporate. In this story the author, without formal historiographical embankments, free his writing, which becomes a raging torrent, irony, theatricality, histrionic, versatility and style of writing powerfully portray dozens of characters who seem to be pieces of a puzzle that we play, too the face charming and contradictory of the village.
Therefore, two independent novels in a book?, as it seems a fleeting and trivial observation, no way!, indeed, choral work that seeks to achieve its uniqueness, two events tied by an invisible thread that will stretch out their hand through ten centuries, and which belong to the deep history and current of Novara.
A kind of literary Janus, a structure so complex as to become, finally, linear. A novel attempt to find new horizons of expression, which must be read as suggested by Barresi, in fact, with the alternation of the two songs, one creates a harmonic rhythm that gradually turns into a real dance of writing , a kind of Sicilian Tarantella, a web architected and meditated for a long time to the details, a kidnapping spell with no possibility of escape.
When I read a novel I want it to jerk me and inflame my curiosity, make me puzzled and only partially freed, so I have to admit that as a reader, while appreciating the canonical narratives, standardized and edifying, and in particular I have a weakness for those that are released from the habit and start with courage, to the slippery slope of innovation, which could break the bone of the neck. During the holidays I attended the presentation of the book by Barresi. It has teased me a lot, because it certainly belongs to this category, in fact, in this job the author shows, in addition to significant ideas, the tenacity and the ability to know how to achieve. This reckless Doppio scambio enhances the vocation of literature itself to be non-reassuring, that is capable of stirring more doubts than certainties, and celebrates the experimental dimension, that bewildering and irrational novels and art in general must be.
But my point of view – as the great writer and critic claimed Virginia Woolf – is only a bird’s eye view of the peak of the iceberg. Everything else is under water.
Certainly, beyond the tangle of plots and narrative styles and syllogisms, rhythm, languages, and the tale told of the inner motives of the author, in Doppio scambio, what emerges clearly, what remains - per sempre - anchored in the memory, is the delicate relationship between the author and the community of Novara, a feeling that Giovanni celebrated in the most possible affectionate way, choosing to set his work in the snow country.
(English version: A. Maglio)
Commenti
Omaggio a Novara
Una lettura piacevole, agevole, personaggi che t’ispirano simpatia e antipatia, per cui vitali davanti agli occhi del lettore:
Un omaggio a Novara Sicilia.
Un libro da divorare in una sera, e se si vuole, si può leggere il giallo e rimandare la lettura del romanzo storico o viceversa, senza inficiare la comprensione delle singole storie o del romanzo tutto, insomma due storie in un libro, oppure un libro in due storie. Vi consiglio una buona lettura!
LuiSE
***
Col fiato sospeso
doppio scambio
due libri in uno, un giallo appassionante
che cattura l’attenzione del lettore tenendolo
con il fiato sospeso fino all’ultima pagina
ed un romanzo storico avvincente, con quel pizzico
di romanticismo che non guasta mai.
Barbara
***
Pathos
Nell’immenso florilegio di romanzi, narrazioni avvincenti, si segnala per l’originalità del contenuto anche a sfondo d’introspezione psicologica, quello del dr.Giovanni Barresi, che nell’immaginario colloca l’esecuzione di un evento delittuoso in tempi diversi. L’autore, che si distingue nella perfetta ricostruzione della cronologia dei fatti, traccia la dinamica in un crescendo di suspence, colorando la stessa di frequenti dubbi, d’improvvise virate investigative, tuttavia la solidità motivazionale dell’impianto letterario, rivelando l’arguzia di chi conduce il lettore con sapiente dosaggio emozionale verso la risoluzione, denota il letterato classico Barresi; posso annoverare tra i suoi tanti pregi professionali anche quello di scrittore di opere destinate a tutti quegli ambienti desiderosi di recuperare una più intrigante interpretazione del pathos liberatorio.
Calogero Centofanti
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Il nostro linguaggio
Doppia storia fra le righe: intrigante, coinvolgente e dal finale sorprendente.
Il protagonista del libro e' uno come tutti noi (o quasi!) racconta della nostra terra con il nostro linguaggio, riesce a farti immergere nella sua vita un po' irregolare, con ironia e una spiccata intelligenza!
Attraverso i personaggi del racconto storico ho assaporato il desiderio e la conquista del potere, per mezzo d'imbrogli e falsità (questo mi ha fatto pensare che da allora ad oggi non e' cambiato niente!).
Consiglio a chi non l'ha ancora fatto di leggerlo!
Marylena Marino
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Dal capitolo XXXIII
Conclusioni storiche
Tranne Romualda, Kamal ibn-Yussuf, di cui parleremo più in là, e pochi personaggi minori quali Berta e il suo innamorato, lo sfortunato soldato Serlone, tutti i personaggi del romanzo sono esistiti e accenneremo brevemente la sorte dei principali.
Un trattamento di riguardo spetta però ad Adelasia.
La figlia del marchese aleramico Manfredi viene descritta come una giovane di abitudini modeste e dignitose, dotata di bellezza discreta. Tale resterà fino alla morte del marito, il granconte Ruggero, avvenuta nel 1101. Solo allora, acquisita la reggenza per il figlio Ruggero, futuro re di Sicilia, dimostra il suo vero volto. A dire il vero qualche cronista ipotizza già il suo intervento per eliminare sia il Goffredo, conte di Ragusa, lo sfortunato figlio lebbroso del marito, e sia il Goffredo, figlio bastardo di Ruggero, e che quindi non avrebbe dovuto partecipare alla successione. Fatto sta che dei sicari, nel 1093, anno della nascita di Simone, primogenito di Ruggero e Adelasia, tolsero la vita a Goffredo il Bastardo. Addirittura qualcuno vorrebbe la contessa mandante di un possibile avvelenamento dello stesso granconte e dell’altro figlio bastardo Giordano, il prediletto, che morì di febbre maligna improvvisamente a Siracusa.
La sua salma fu traslata a Messina, dove tutt’ora riposa nel villaggio di Mili S.Pietro, nella chiesetta di S.Maria dei Normanni.
Adelasia spostò la capitale da Mileto a Messina, quindi a Palermo. Fu una governatrice saggia, amministrò la giustizia con equità e si circondò di uomini a lei fedeli per l’amministrazione pubblica, e non poche sono le voci che le attribuiscono amori con diversi suoi consiglieri, quale Roberto di Borgogna, cui fece sposare una sua figliastra. C’è chi, persino, reputa il suo secondogenito Ruggero figlio di una relazione adulterina con Cristodulo, consigliere del granconte, musulmano convertitosi al cristianesimo, e a riprova ne chiamano le fattezze brune del futuro re di Sicilia.
Questo cambiamento di personalità, attribuito ad Adelasia, ha fatto venire in mente a chi scrive la possibilità di uno scambio di persona; ecco il perché dell’invenzione del personaggio di Romualda, cortigiana senza scrupoli.
Adelasia, dopo che il figlio Ruggero raggiunse la maggiore età per assumere il potere, ovvero diciassette anni, andò in sposa in seconde nozze a Baldovino, re franco di Gerusalemme. Questi, però, la dovette ripudiare per motivi politici.
Adelasia non si riprese da questa umiliazione e si ritirò in un convento dove morì poco dopo. Le sue spoglie sono tumulate nella Cattedrale di Patti, in provincia di Messina, città che fu dalla “grande giustiziera” sempre favorita.
Gautieri Garres fu uno dei tanti cavalieri amici di Enrico del Vasto, che seguirono l’aleramico in Sicilia. Fu capostipite di una famiglia che venne considerata normanna e che ebbe in feudo Caltabellotta, città divenuta famosa per la pace tra Angioini e Aragonesi.. Il nome, per cause oscure mutò in Garresi, Carresi e Barresi. Tale famiglia fu l’unica normanna ad essere citata ancora dalle cronache quattro secoli più tardi, quando partecipò alla conquista di Napoli da parte di Alfonso di Castiglia.
L’amore di Gautieri e Adelasia è pura invenzione, e serve per giustificare lo scambio di persona.
Enrico del Vasto sposò una figlia di Ruggero, Flandrina, su consiglio della sorella Adelasia. Dopo Noto e Butera ricevette anche il contado di Paternò, ove si stabilì. Il titolo passò al figlio Simone e quindi a Manfredi. Alla fine del XII secolo conte di Paternò sarà Bartolomeo de Lucy, da cui il cognome siciliano De Lucia. Enrico amò circondarsi di cavalieri amici, e fu amante dell’arte e del bello. Nel romanzo, a lui ogni scusa, viene descritto come dedito ai vizi, per giustificare lo scambio tra Romualda ed Adelasia.
Il Marchese Bonifacio, zio del precedente, lasciò otto figli maschi, e tranne il primogenito, diseredato, tutti ottennero il titolo di marchese, frammentando così, secondo l’abitudine dei carolingi, il proprio feudo. Tra le tante famiglie sue eredi sono illustri i Del Carretto di Savona e Finale, e i marchesi di Saluzzo.
Ruggero Altavilla coronò il suo sogno, ma non lo vide realizzato, perché morì essendo il figlio Ruggero appena di sei anni. Le sue spoglie sono custodite a Napoli, nel Museo Archeologico, dove vi furono traslate a seguito di un terremoto, che nel 1783 distrusse l’ Abbazia della S.S. Trinità, a Mileto, dove Ruggero morì e volle essere tumulato.
Il primogenito di Adelasia e Ruggero, Simone, scomparve tre anni dopo il padre. Era debole e malaticcio e forse fu un bene per la dinastia degli Altavilla che il titolo di conte andasse nelle mani del volitivo fratello Ruggero. Questi ottenne prima il titolo di Duca e poi quello di Re, che trasmise al figlio Guglielmo il “Malo” e al nipote Guglielmo il “Bono”. Quest’ultimo morì senza figli e i baroni nominarono Re Tancredi, Conte di Lecce, figlio di un bastardo del re Ruggero.
Il papa e altri baroni non lo riconobbero e alla sua morte il regno di Sicilia fu rivendicato da Enrico, figlio di Federico Barbarossa, che aveva sposato Costanza, anch’ella figlia di re Ruggero. Così Federico II, “stupor mundi”, figlio di Enrico e Costanza, unificava la corona imperiale a quella di Sicilia.
La figura di Kamal, l’hashishyyuna ismailita, nasce dall’effettiva presenza nel mondo musulmano di questa setta sciita, che fondata nell’VIII secolo, sul finire dell’XI, quando si svolge la nostra storia, aveva il potere in Egitto, e praticamente lo deteneva in Siria ed in Persia, e cercava di penetrare in tutto l’Islam. L’idea di inserirne la figura è nata perché furono proprio due fidati ismaeliti che, nel 1192, assassinarono Corrado del Monferrato, che doveva essere incoronato Re di Gerusalemme.
LA CIOCCOLATA
La collina era sempre la stessa, bianca d'inverno, verde in primavera, ma sempre la stessa collina dietro cui spuntava il sole ogni mattina, faceva la conta dei vecchi del paese per poi celarsi dietro le nuvole e risprofondare a valle dietro il mare, là, proprio là dove cielo ed acqua si fondevano in unico colore, come accadeva da appena qualche decina di milioni di anni. Sandra pensava di essere anch'ella la stessa, così si sentiva ogni mattina quando passava di fianco alla collina per andare in ufficio in città, in tribunale: la stessa. Già, immutabile, inflessibile nella sua rigidità di giudice togato. Un giorno però un giovane delinquente inveì contro di lei chiamandola "befana". Subito non ci fece caso, ah, se doveva far attenzione a tutti i vituperi della malavita che mandava a svernare nelle patrie galere.... eppure quel medesimo giorno, guardando nello specchietto retrovisore un'auto che le stava troppo attaccata durante il percorso pieno di curve, notò qualche ruga attorno agli occhi, vide al suo fianco la collina verde spruzzata di giallo, e si rese conto che lei non era più la stessa. Sandra accostò per far passare l'auto che la seguiva, ma rallentò talmente che quasi si fermò, giusto accanto alla lapide che ricordava i garibaldini "Martiri di Fantina". Sandra pensò che se la guerra l'avessero vinta i Borboni, forse la lapide avrebbe ricordato altri italiani, quelli dell'esercito regolare del Regno delle Due Sicilie. Come in un film si rivide laureanda alla presa con la sua tesi in Diritto Canonico sulla "Legatia Apostolica" dai Normanni ai Borboni, e rivide Matteo, suo collega di corso, il suo primo ed unico fidanzato. Matteo, con i suoi occhi verdi cangianti e le manone grosse che la perquisivano avide sotto i vestiti. I suoi vestiti! Già, pensò, forse adesso usava vestiti troppo seri, sempre troppo grigi o blu, chissà, un po' di azzurro, arancio, ma si, violetto, l'avrebbero ringiovanita... chissà, forse aveva ragione sua sorella, forse doveva cambiare pettinatura, trucco... già, sua sorella, al Liceo tutti i suoi compagni di classe le chiedevano il numero di telefono per parlare con la sorella... bleah, quell'ossuta coscialunga con gli zigomi più grossi delle tette, ma che ci trovavano, forse era solo un po' più estroversa... senza accorgersene si era fermata da un pezzo con il motore acceso, quando udì la tromba della corriera che chiedeva spazio, scendendo allegra per quelle curve collinari, guardò improvvisamente l'orologio, avrebbe fatto tardi, non era da lei, a quel ragazzo che l'aveva chiamata befana, pensò che avrebbe dovuto dargli il massimo della pena. Quel pomeriggio Sandra aveva l'appuntamento con il dentista. Stava con gli occhi chiusi, abbandonandosi completamente alle mani decise del professionista, e pensava alle parole di sua sorella. "Dai Sandra, perché non esci con il fratello di Carlo ?" Il fratello di suo cognato. Bello come Alain Delon, stupido come lo può essere solo un avvocato narcisista, innamorato del suo eloquio. "Bleah!"- "Giudice qualcosa non va?"- "Oh no dottore, mi scusi, continui pure". Come se avesse avuto bisogno di un uomo, lei di uomini ne avrebbe potuto avere quanti ne voleva, se ne voleva. Che sciocca sua sorella, ne udiva le parole: "Ma dai, Sandra, trasferisciti in città, tanto la casa ce l'hai, porta con te mamma e papà se vuoi, ma che ci stai a fare in quel paese di vecchi ? Ci vuoi morire zitella?" - "Zitella?" Ma come si permetteva quella svampita di sua sorella, unicamente indaffarata a conciliare i propri appuntamenti con l'estetista, la parrucchiera, il personal trainer, l'amante.... "Bleah!". “Giudice, cosa succede, le ho fatto male ?" - "Oh no dottore, scusi è che oggi, forse, non mi sento troppo bene...- "Ah meno male, avevo avuto l'impressione di averle fatto male, perché le ho visto dipinta in faccia una smorfia." - "No, no, non si preoccupi, continui pure." Già, ma cosa si credeva sua sorella, le sarebbe bastato schioccare le dita per farsi seguire da uno stuolo di colleghi, avvocati, funzionari, come poteva dirle quella stolta: "Ma perché non vai a prendere qualcosa al bar, che so, una cioccolata, con il fratello di Carlo?" Ma insomma, perché non se lo portava lei il cognato al bar, uno più, uno meno.. "Bleah!" - "Oh, giudice oggi è meglio rinviare la seduta, oggi mi sembra un po' tesa, non è a suo agio come al solito, forse è colpa mia..."- "Ma no, la prego, non è colpa sua, comunque forse è meglio prendere un altro appuntamento, forse mi sembra anche lei un po' teso, dottore...." - "Ah già, se ne è accorta, e d'altra parte una donna sensibile come lei, non poteva non accorgersene."- "Mi scusi, non volevo..."- "No, non si preoccupi, sa, mia moglie è scappata con il suo personal trainer da un mese e ancora io non ho superato il colpo." D'un tratto Sandra non fu più Sandra. "Su dottore, non ci pensi troppo, e poi incupirsi non le dona, sopra la mascherina i suoi occhi verdi diventano grigi, ascolti, non è che per caso verrebbe a prendere al bar una cioccolata con me ?" L'indomani alla conta del sole mancavano un paio di vecchi, trasferiti in città al seguito della figlia. La collina, tra i fiori gialli, improvvisamente partorì delle campanule viola. Il cucchiaino girava lentamente nella tazza, causando un vortice bruno, su cui si concentrava lo sguardo di Sandra, e i suoi pensieri sembravano fluire involontari lasciandosi trasportare dalla bevanda degli dei maya fino al fondo. E lì, giù, nel fondo si sentiva Sandra. Dopo un anno la sua relazione con Mario si era appassita. Come un'erba stagionale era fiorita ed era morta nel volgere di un'orbita terrestre. L'aveva vissuta allegramente, come mai avrebbe pensato sarebbe potuto accadere, ma non era supportata da nulla, se non dal reciproco desiderio di provare un'esperienza nuova, defaticante, che potesse eliminare per lui le tossine di un matrimonio fallito, per lei le scorie di una vita sempre uguale. E così era finito tutto; forse il timido tentativo di Sandra di convincere Mario a condividere l'esperienza di un figlio aveva allontanato l'uomo, legato ai figli della precedente relazione, ma probabilmente era solo un inevitabile divenire, uno scorrere della materia nel tunnel del tempo, un susseguirsi di atomi obbedienti unicamente ad una legge scritta all'origine dell'universo, un qualcosa che l'uomo non poteva governare e forse a malapena influenzare. Sandra si lasciava andare a sterili considerazioni filosofiche, ma quel che era certo, era che lei era di nuovo sola. Era di nuovo Sandra. L'eterno ritorno. Tutto scorre per ritornare al punto di partenza. "Ecco"- e diede un pugno sul tavolino di essenza esotica facendo fuoriuscire la cioccolata, macchiando il tappeto cinese su cui la donna era seduta accosciata - "ecco" - e si alzò con una elasticità ed energia insospettabili per il suo fisico sedentario - "è un divenire circolare, ma si ritorna al punto di partenza, se mai c'è un punto in questa circonferenza che si possa definire tale"- e si mise a camminare a piedi nudi sul parquet, avanti e indietro trascurando le macchie di cioccolata sulla sua tuta grigia, comprata per andare in palestra e mai usata per fare ginnastica - "ecco, io sono il giudice Alessandra Ferrara e non mi importa un accidenti di niente di tutto il resto !" Si spogliò, si lavò, prese il suo tailleur grigio con il doppio orlo sottilissimo verde smeraldo, e solo allora si rese conto che era domenica, i suoi genitori erano per il fine settimana al paese, e lei era sola, era il giudice Ferrara, ma era sola; il paese, doveva prendere l'auto e salire al paese, la sua collina, chissà come sarebbe stata, sicuramente verde screziata di giallo, era marzo inoltrato, non poteva essere altrimenti. Le scarpe no, quelle gliele aveva comprate Mario quando erano andati a teatro a Catania, che andassero a farsi fottere, lui e le scarpe, se le tolse, le buttò via con rabbia e andò a prenderne un altro paio, si guardò allo specchio e si rese conto che con quel vestito andavano proprio bene le scarpe di Mario, ma si, che importanza aveva, si sarebbe rimessa quel paio, ma - "porco cane, bastardo di Mario e tutta la razza dei dentisti" - esclamò nel vedere che una delle scarpe era finita sulla tazza di cioccolata, macchiandosi e macchiando ulteriormente tavolo e tappeto. Si tolse disperatamente il tailleur grigio, per cercare qualcosa che andasse bene con le altre scarpe, quando fu colta da un pianto disperato, e si ritrovò in ginocchio a singhiozzare di fronte allo specchio dell'armadio, maledicendo se stessa, sua sorella e la cioccolata, che da quel giorno in cui l'aveva presa al bar con Mario, era diventata la sua bevanda preferita, al punto di farle arrotondare un po' di più i fianchi, cosa che notò, nonostante le lacrime - "devo andare in palestra" - pensò riguadagnando il controllo - "ho pagato l'iscrizione e non ci sono andata nemmeno una volta, porca miseria, mi sono aumentati anche i trigliceridi, maledizione non sono più la stessa, ma quanto è ampio questo cerchio ? prima o poi lo ritroverò questo punto di partenza benedetto ! Guidò nervosamente per tutto il tempo, ansiosa di rivedere il suo paese, i suoi genitori, la sua collina... la collina ! La collina verde stava per essere sbancata, lo vide un paio di chilometri più giù, e aumentò la velocità come se arrivando prima potesse fermare lo scempio. Prese le curve come non aveva mai fatto e si meravigliò di come fosse abile e non lo avesse mai saputo, arrivò frenando con il piede e accelerando con il cuore. Infuriata, amareggiata, con i battiti cardiaci così frequenti come non lo erano mai stati, nemmeno quando prese il coraggio a due mani e invitò Mario al bar. "Ma cosa state facendo, chi vi ha dato l'autorizzazione ? Sono il giudice Ferrara, chiamatemi il responsabile, il capo cantiere. "Ma purtroppo, ovviamente, era tutto in regola e Sandra dovette subire anche quell'insulto, quell'ennesima sofferenza. Si trasferì nuovamente al paese, a ripercorrere quella strada tortuosa, divenendo sempre più abile nell'affrontare le curve, cambiò dentista, si ritrovò davanti quel ragazzo che l'aveva apostrofata "befana", gli diede il massimo della pena, completò più volte il giro della sua circonferenza senza mai rendersi conto di essere passata dal punto di partenza e il sole continuò a tramontare là dove mare e cielo si confondono nel medesimo colore. Sandra smise di bere la cioccolata.
L’ultima partita
La strada che da Barcellona porta a Terme Vigliatore, subito prima della strettoia del ponte Termini, presenta un incrocio a monte, da dove ci si reca a Castroreale passando per Protonotaro e Bafia. Augusto era titolare di Guardia Medica a Novara di Sicilia, per cui dalle sedici alle venti volte al mese era costretto a passare da quel ponte, e ogni qualvolta vi transitava il suo pensiero correva al nonno Paolo, sepolto nel cimitero di Bafia da circa venticinque anni. Augusto, quarantenne, non andava a far visita al nonno da quando era ragazzo, ma ora, da che aveva assunto la titolarità, il passare da quell'incrocio lo riempiva di malinconia. Era come se il nonno lo chiamasse, gli chiedesse di far qualcosa che solo Augusto potesse fare. Ed Augusto ogni volta si diceva che doveva andare a Bafia per compiere quanto voleva nonno Paolo, così una mattina, tornando da una notte di guardia, arrivato all'incrocio, anziché tirare dritto come sempre, mise la freccia e iniziò la salita verso il paese degli antenati. Tutto, la strada, le curve, l'erba lungo i cigli, gli ulivi contorti, ogni sasso gli sembrava familiare. Augusto respirò quell'aria di campagna, un odore misto di pecore e fieno gli innescò un processo chimico nei neuroni del centro della memoria, per cui si rivide bambino ruzzolare dietro una palla assieme ai suoi cugini, con le gambette magre, i pantaloncini color coloniale e i calzini bianchi, con l'elastico allentato. "Attenti, c'è una torta di vacca, senti com'è profumata", "le vedo, sono li sotto, le mucche di 'mpari Ninu". A mezzogiorno finiva il gioco, s'udiva il lamento del cessalavori e il campanile che voleva imporsi sulla sirena operaia, ché Don Giuseppe vegliava affinché Mariano, segretario di sezione del P.C.I. di Bafia, facesse meno proseliti della parrocchia. L'automobile effettuò l'ultima curva ed Augusto si trovò senza accorgersene di fronte alle scale in pietra che conducevano alla casa dei nonni. Quanti pranzi domenicali in quella casa... Augusto sentiva gli odori della cucina, la pasta margherita con il sugo e la ricotta, l'arrosto di vitello macellato da nonno Paolo, i dolci preparati da nonna Caterina, che con l'aiuto della poderosa zia Lina, sfornava pagnotte di pane, eccezionale, da mangiare caldo, con l'olio, il sale e il pepe. E la mostarda? quella fatta con la cenere che Augusto assaggiava dopo averla annusata, ché gli piaceva tanto sia il sapore che l'odore; sentiva ancora gli urli della vecchietta: "non la mangiare, non la respirare ché ti fa male", ed il nonno rideva e diceva: "lascialo stare, tanto la cenere è senza microbi". Era la cenere dei bracieri, quelli attorno cui si riunivano le sere di autunno, quando al primo freddo si spillava la botte.
“Ohè, ma tu sei Augusto."..... era Franco, il cugino più piccolo, che continuava a tirare avanti l'azienda agricola dei nonni, nonostante una laurea in Economia e Commercio. "Franco, ciao, che piacere che ho nel rivederti". I due si abbracciarono e si parlarono come se fosse passato un sol giorno. "Porca miseria Augusto, chi ti porta quassù ?", "Sai Franco, è il nonno, sento che mi ha chiamato, devo vederlo". Augusto sentiva la voce del nonno molto più chiara, sentiva il bisogno di fare quella cosa per la quale veniva chiamato. Franco accettò di buon grado di accompagnare il cugino al cimitero. Per giungervi occorreva percorrere un pezzo di strada che si inerpicava tra uliveti e noccioleti, ma a dispetto di quello che pensava Augusto, più si avvicinavano al cimitero, meno forte era la voce, tanto che arrivati in cospetto della tomba era appena percettibile, ma la cosa ancora più strana era che man mano tornavano indietro, Augusto udiva il nonno più distintamente, e tale voce divenne chiarissima appena appoggiò il piede sullo scalone di pietra della casa padronale. La casa era ancora abitata dalla zia Lina. Quando Augusto mise piede dentro l'uscio, vide in fondo la scala con i gradini di legno stretti, che tanto gli faceva paura quand'era piccolo, eppure la voce proveniva da sopra, salì, e, come orientato da una forza oscura, si diresse verso una stanza che celava un ammasso di ciarpame, mobili, quadri,libri, cappelli, quanto di meglio non avrebbe desiderato un rigattiere; Augusto si diresse verso i libri, la sua passione non segreta. L'idea che le pagine celassero il sapere dell'uomo, passioni, turbamenti, ore trascorse ad elaborare pensieri, suoni, colori, cifre, lo affascinava, ne faceva un irriducibile, melanconico lettore, tutto l'opposto del suo sanguigno carattere mediterraneo. La voce era sempre presente, ma si faceva meno insistente, più pacata, sembrava essere contenta che il nipote fosse lì a leggere quei libri. D'un tratto l'attenzione di Augusto si orientò verso una pila di quaderni neri. Pensò che dovevano essere i quaderni di scuola degli zii, o magari dei suoi genitori. C'erano appunti, tracciati con il pennino, su fogli di carta ingiallita tedesca, con stampati i caratteri gotici che usavano negli anni '30 e '40. In un quaderno a quadretti, listato di rosso, trovò degli schemi di gioco degli scacchi. Si ricordava vagamente il nonno giocare con un suo amico interminabili partite. Evidentemente Paolo studiava gli schemi e si preparava per le sfide. Su ogni foglio c'era la data, l'ultima partita s'interrompeva giusto il giorno precedente la sua morte. Augusto ne ricordava la data perché il padre lo aveva abituato a pregare quel giorno ogni anniversario. Lo aveva fatto per diversi anni, poi, non sapeva né come né perché, non aveva rinnovato quella tradizione, ma il giorno gli era rimasto impresso nella memoria.
Augusto continuò a salire a Bafia per tutta l'estate. Zia Lina ne era contenta. Ad Augusto piaceva parlare con la zia ché gli raccontava tante cose sui nonni, così scoprì che don Mario, l'avversario a scacchi di Paolo, era ancora vivo, centenario, ma in buona salute. Augusto andò a trovarlo e quegli fu felice di parlargli del nonno: "E' vero, giocavamo spesso, ma sai, io a scacchi sono un vero campione. Tuo nonno era il più bravo del paese, ma con me perdeva sempre. Scommettevamo un bicchiere di vino, sai, era solo per il piacere di giocare, pensa, giocammo pure fino al giorno prima della sua morte". Augusto colse la palla al balzo per parlargli dell'ultima partita e don Mario si fece per un attimo bianco in faccia, poi si riprese e continuò: "A tuo nonno piaceva giocare con il nero, ovviamente si alternava, ma ricordo che in quell'ultima partita giocò con il nero, non arrivammo a finirla purtroppo....". Augusto chiese al vecchio se sapesse che Paolo si studiava le partite a casa, nel quaderno, ma don Mario rispose che non lo sapeva, il nonno era uno studioso, prendeva un sacco di appunti, osservava i fenomeni fisici, certo, avrebbe anche potuto farlo, e per un altro attimo la pelle grigia del suo volto si schiarì ancora. Augusto si commiatò, ma si sentiva turbato. Una sera zia Lina preparò la schiacciata. A cena c'erano i figli della zia con le loro mogli e i nipoti. C'era pure Franco con la sua fidanzata. L'aveva conosciuta a Messina all'università, si erano laureati tutti e due in Economia e Commercio, ma Franco non ne voleva sapere di sposarsi. Eleonora era una donna bellissima ed Augusto si chiedeva come potesse stare con Franco, in quel paese, senza che il cugino si decidesse a sposarla. A sentirla parlare non era nemmeno stupida, tutt'altro, era intelligente ed affascinante. Non era alta, ma aveva un corpo modellato, da non sfigurare in una passerella di moda. I capelli erano di un biondo rossiccio che ad Augusto ricordavano quelli di una bambina; ma sì, certo, Eleonora era quella bambina con cui giocava fanciullo a Bafia, lei gli diceva sempre "antipatico", e lui le faceva un sacco di scherzi, gli piaceva vederla ridere, e in quel momento Augusto si rese conto che da piccolo era innamorato di Eleonora. Capì che la donna restava a Bafia perché qualcosa la legava lì, qualcosa che non era Franco. Augusto ed Eleonora si incontrarono di nuovo, e lui le rivelò il perché saliva a Bafia. La voce del nonno lo chiamava per compiere qualcosa, ma ogni qualvolta andava al cimitero per chiedergli cosa dovesse fare, la voce non si sentiva quasi più. Eleonora era la figlia del "casciamuttaro", l'impresario di pompe funebri e quando Augusto le svelò il suo segreto, lei si sentì come liberata. "Augusto, -gli disse- io so perché non senti la voce al cimitero, mio padre in punto di morte mi svelò che aveva un peso, tuo nonno gli aveva chiesto di cremarlo e di spandere le ceneri al vento, nella campagna, perché diceva che i suoi atomi dovevano continuare a partecipare al ciclo della natura. Mio padre lo cremò, ma non se la senti di spargere le ceneri. Le conservò in un'urna, che non ebbe il coraggio di dare a tua nonna. Quell'urna ce l'ho io, sono dieci anni che tento di darla a Franco, ma sento la voce di mio padre che mi dice di non farlo. Ora so perché, dovevo darla a te." Quando Augusto ebbe l'urna nelle mani, queste gli tremavano, gli occhi erano rossi e la voce del nonno era tale e quale lo avesse di fronte in persona. Augusto aprì l'urna con la chiave che gli porse Eleonora, dentro c'era una fiala di cenere e un foglio imbrunito dal tempo. Lo lesse: "I nostri corpi sono un insieme di materia ed energia. Ho fatto un sogno ad occhi aperti, ho sognato di tornare indietro, fino a diventare piccino, di nuovo dentro la pancia di mia madre, e poi piccolo, ancora più piccolo, diviso tra l'uovo materno e il seme di mio padre, e poi ancora più piccolo, materia trasportata dal sangue, e ancora più piccolo, molecola digerita dall'intestino, e quindi un atomo, che faceva parte della carne di pecora mangiata a cena dai miei genitori, e quindi quest'atomo, che faceva parte dell'erba concimata dallo sterco di una vacca, e quest'atomo proveniente dall'aria respirata dall'animale, un atomo di ossigeno prodotto dalle foglie di un castagno. Cenere fummo e cenere ritorneremo. Cenere voglio ritornare e partecipare ancora al ciclo della natura !!" Allora Augusto capì tutto. Una mattina, tornando da Novara, portò con sé il quadernetto nero listato di rosso con tracciato lo schema dell'ultima partita. Si recò da don Mario e lo sfidò chiedendogli di continuare da dove erano rimasti con il nonno 25 anni prima. Il vecchio annuì e disse: "Me lo aspettavo, sapevo che prima o poi sarebbe accaduto." Chiese alla nipote di portare un bicchiere di vino. "E' la ricompensa del vincitore, lo so, quella partita tuo nonno Paolo finalmente l'avrebbe vinta, poveraccio, non ebbe il piacere di dirmi <<scacco matto>>, che la morte se lo colse, ma è giusto che tu continui la partita". Augusto in tre mosse liquidò la faccenda, poi estrasse dalla tasca del giubbotto la fiala con la cenere del nonno, l'aprì, l'aspirò, sfiorò appena la cenere con il polpastrello dell'indice, lo intinse quindi nel bicchiere di vino, che poi mandò giù in un sol fiato.
“Avevi ragione nonno, questa cosa la potevo fare solo io."
La battaglia del Longano
La sedia era comoda, ma dopo l’attesa di un’ora non lo sarebbe più stata nemmeno una poltrona.
Aurelio Raso, diplomato al Classico di Cosenza e laureato in Chimica a Messina, come tanti calabresi vi era rimasto catturato dai lacci dell’amore di una collega, che aveva finito per non sposare dopo anni di fidanzamento. Aveva però trovato lavoro presso un’azienda farmaceutica.
Nello studio del Dr.Foti a Fantina erano rimasti Aurelio e due anziani.
Fu inevitabile per l’informatore ascoltare i discorsi dei due, che iniziati da problemi di prostata e colon, finivano su temi storico-geografici.
-La battaglia del Longano non avvenne sulle rive del torrente che separa Barcellona da Pozzo di Gotto.
-Ah no? – Il secondo signore pareva più interessato ai crampi intestinali che alla Storia.
-E no,-continuò felice di trovare qualcuno attento al suo dire, notando la curiosità di Aurelio e proseguì volto al coetaneo, intento a farsi udire da Raso – tra Fantina e Rodì-Milici sorgeva Longane, città sicana, che all’epoca dello scontro tra Mamertini e Siracusani era stata distrutta da circa un secolo, e di sicuro il torrente Patrì si chiamava Longano, tant’è che questo e non quello ha i caratteri descritti dagli storici.
Aurelio scordò quanto stava divenendo scomoda la sedia e chiese, vinto dal fascino della grecità che lo aveva nutrito ragazzo e che aveva tradito studiando altro all’università: -Scusi, quando fu questa battaglia?
-Prego, sono il Prof. Albisi. Il canuto signore si alzò offrendo la mano con uno scatto che se l’avesse visto il Dr.Foti non gli avrebbe più prescritto antireumatici, ritenendolo guarito dall’artrite: -Nel 269 A.C. Gerone vinse Cione, duce dei mercenari campani.
-Prima delle guerre puniche!– Disse Aurelio ancor più affascinato.
-Ricorda bene la Storia! Quasi cinque anni prima.
-Bé, -si schernì l’informatore- a scuola studiavo.
L’altro signore interloquì:- E’ il suo turno, non perda tempo in chiacchiere.
In altro momento Aurelio avrebbe mandato a quel paese il vecchio, ma felice d’aver rievocato ricordi di storia e gioventù con Albisi, si congedò per entrare dal medico.
Finita la visita il Raso lasciò Fantina per Rodì, costeggiando il torrente Patrì-Longano, che stranamente presentava un bel rio al centro del greto.C’erano dighe che obbligavano l’acqua a salti ripetuti, svelando che un dì vi fu una buona portata; oggi, tranne rari casi, c’era un canale asciutto, buono per le esercitazioni dell’Esercito e per mantenere salubri le capre che vi andavano per brucare rovi. Aurelio guidava sicuro della via che aveva fatto più volte; fu la certezza che lo tradì, infatti, pensando ad eserciti schierati e al clangore delle armi, perse il controllo e andò fuori strada, colpito al viso dall’airbag, privo di cintura, di buon senso e sensi.
Italus e Albus presero dalle ascelle il camerata ferito per trarlo fuor dall’acqua.
La battaglia era finita da ore e loro erano tra i pochi superstiti che eran scampati all’eccidio dei Siracusani prima e dei ladri dopo, quei miserabili che come corvi si avventano su morti e feriti per predar le spoglie, già prive di armi e gioie, tolte dai nemici. Aurelius ricevette un colpo di scudo al viso e cadde nel fiume, restando col capo fuor dall’acqua tra i mirti, sì da non affogare sebbene avesse perso i sensi, né da esser visto se non quando iniziò a lamentarsi e fu udito dai compagni, che feriti lievemente, eran fuggiti ed ora ripercorrevano la strada consapevoli di esser stati codardi, ma che di soldati Mamers ne aveva avuti già molti in olocausto.
Aurelius, udendo la familiare parlata osca, si rasserenò e pensò che la giornata fosse stata dei Mamertini, ma subito capì, dal loro cauto lasciar la strada principale, che le sorti dello scontro erano state avverse.
I tre si rifocillarono con due grossi rospi, lì numerosi, e che non fu facile catturare. Italus, esperto nelle medicazioni, perché assistente dello iatros, applicò un impiastro sulla fronte di Aurelius, ch’ebbe un tremito ma si contenne, anzi grave disse: -Mettiamoci subito in marcia, in un paio di giorni saremo a Messana.
-Ma sei matto.- Dissero insieme Italus ed Albus. Quest’ultimo proseguì, curvandosi e massaggiando la schiena dolente:-Milae è caduta, Alesa e Abacena si son date a Siracusa, il presidio di Messana è sguarnito, Gerone avrà già preso d’impeto la città.- E nel dire tolse il corsetto e restò con la tunica di lana bianco sporca.
-Che dovremmo fare, viver da sbandati, da predoni? Tornar barbari come i nostri avi? –Urlò disperato Aurelius, che a Messana aveva lasciato la moglie greca e il figlio.
Albus rise sguaiato mentre Italus consolava Aurelius:- E’ la nostra sorte, siamo solo mercenari, forse potremo trovar soldo nell’epicratia cartaginese. Ricorda come ci trattarono a Siracusa, ottenemmo la cittadinanza da Agatocle, ma ci scacciaron come cani. E’ molto aver avuta salva la vita.
Aurelius si alzò di scatto dal masso su cui sedeva :- Se volete viver miserabili per i restanti giorni fate pure, io andrò a Messana a difender la mia città, e se non sarà possibile porterò i miei a Reggio.
Albus, di nome e di fatto nei capelli e nella veste, rise ancor più sguaiato:- Non sai che Reggio è allo stremo, forse già caduta in mano ai Romani grazie all’aiuto di Gerone? I nostri fratelli Campani a Reggio non godon miglior sorte della nostra. Stolto se pensi di tornare a Messana, la città non ha difese, quando i Siracusani entreranno ogni Mamertino morrà, non ricordi come trattammo i greci di Messana? Son passati quindici anni d’allora, rammenti? Uccidemmo quasi tutti gli uomini ed esiliammo quei pochi per cui si volle usar pietà, perché furon gli ingenui che ci apriron le porte credendoci amici. No, Aurelius, credimi, ci resta solo la paga cartaginese.
-Vado lo stesso, vivo o morto che importa se non avrò più la vista dei miei cari?
Italus si rivolse ad Albus:- Forse val la pena tentare, guadare l’Imera per giunger nell’epicratia non è viaggio da poco in terreno ostile. Se la città non è già caduta possiamo forzare l’assedio e chieder aiuto all’ammiraglio Annibale a Lipari, sempre che il blocco siracusano per mare lo consenta.
-Certo, -esclamò con entusiasmo Aurelius – meglio chiedere un presidio punico che avere i Siracusani dentro le mura. Sì, i cartaginesi, -e spinse il braccio con forza ad est, verso Messana- i cartaginesi…
Fermo Raso, -disse l’infermiere- se no si toglie l’ago. - E subito bloccò il braccio di Aurelio.- Bene, almeno ha ripreso conoscenza.
Aurelio aprì gli occhi e si trovò in una stanza bianca, nel letto di un ospedale. Italo Marzo, il caposala, lo redarguì sorridendo: -Ascolti, non si stanchi, c’è una visita per lei, il medico ha detto che ancora non può riceverne, mi assumo io la responsabilità, purché sia brevissima.
-E’ permesso? – Un vecchio dai capelli bianchi, in vestito beige, curvo per l’artrite, si fece avanti.
-Prof.Albisi, è proprio lei?
-Sì, dr.Raso, in paese abbiamo saputo dell’incidente; mi son permesso di venire a trovarla perché pensavo le sarebbe piaciuto sapere come finiva per i Mamertini.
-Grazie, ma come lo sapeva?
-Non ha importanza, importante è che sappia che i Mamertini ebbero un presidio dai Cartaginesi, Gerone tolse l’assedio a Messina, ma dopo cinque anni in cui i Punici da amici divennero oppressori, i Mamertini diedero la città ai Romani, e questi, sebbene avessero firmato un patto coi Punici, che limitava le aree di influenza, passarono il mare e iniziarono le ostilità. Era il 264 A.C.
-E i Mamertini? Nei libri non se ne parla più.
Albisi rise, sguaiato, come da un vecchio non si poteva aspettare:- I Mamertini? Ormai erano Messinesi, si erano Grecizzati. Il nostro sangue è il loro sangue.