LA FORNACE - CALCARA – “Carcà”

(Pippo  Bartucciotto)

 

 

Sin dai tempi antichi è risaputo che, per le costruzioni di case, palazzi ed altro, veniva utilizzata la calce per formare malta idonea alla saldatura delle pietre da costruzione.

 

A S. Basilio, fino agli inizi degli anni “50”, per la costruzione e/o ristrutturazione delle case si ricorreva all’utilizzo di questo prezioso materiale.

Il motivo principale era di natura economica, poiché il cemento era poco conosciuto in quanto di recentissima scoperta e qualora poteva essere reperito aveva dei costi molto alti per il trasporto (utilizzati asini o muli), non essendoci strada carrozzabile tra Novara di Sicilia e la frazione di S. Basilio.

 

Nel villaggio era consuetudine, all’occorrenza, il mutuo soccorso detto “schenciu”, tipico della comunità contadina.

Così, ad ogni necessità di intervento collettivo, come alcune pratiche colturali tipo sarchiatura di grano, rincalzatura del granturco ed altre attività come mietitura e trebbiatura del grano, falciatura del fieno, ci si aiutava a vicenda.

 

Accadeva anche quando qualcuno necessitava di aiuto per il reperimento della calce.

 

Nelle campagne intorno al villaggio erano dislocate delle fornaci costruite nelle vicinanze di rocce calcaree  o posizionate in modo da rendere comodo il trasporto degli spezzoni di roccia preparati per la cottura in fornace, ottenuti dopo l’utilizzo di esplosivo per la sfaldatura del blocco roccioso.


La fornace, preferibilmente, veniva costruita a ridosso di un terrapieno per il massimo contenimento della dispersione di calore.

 

Le caratteristiche si possono così riassumere :

- forma cilindrica o tronco di cono.

- corona circolare di sassi resistenti al fuoco per uno spessore di 60/70 cm.

- diametro interno, per il riempimento di pietra da cuocere, circa 200/250cm.

- camera di combustione parzialmente interrata per circa 70 cm (fungeva anche come deposito ceneri)

- dimensioni dell’apertura di alimentazione della fiamma (a porticina) L. 70cm H. 80cm circa.

- altezza totale 400cm circa.

 

 

Segue immagine di: pianta, prospetto e sezione.

 

 

PREPARAZIONE DEL CARICO DA CUOCERE

 

dai miei ricordi di infanzia:

 

solitamente 3-4 persone predisponevano fascine di ginestra e ramaglie varie in quantità , riempiendo la camera di combustione fino all’altezza dell’imboccatura di alimentazione delle fiamme. Poi iniziava la posa dei blocchi di pietra dal basso a forma di arco ed incastrati in modo tale da assicurare  stabile il carico in altezza. Prima venivano posati gli spezzoni più grossi, man mano che si procedeva verso l’alto si posizionavano quelli di pezzatura media ed infine quelli di pezzatura piccola per favorire così una cottura omogenea.

 

PROCEDIMENTO  PER  LA  COTTURA

Si procedeva all’accensione alimentando un po' alla volta la fiamma.

Man mano che la temperatura aumentava era opportuno garantire costantemente, giorno e notte, l’alimentazione con fascine per 2 - 3 o più giorni.

Le persone si organizzavano con dei turni e di notte sempre in 2.

Per verificare il momento della cottura, non avendo strumenti scientifici di controllo, si prelevava, con attenzione, un pezzo di pietra in cima  e si trattava con l’acqua, verificando lo stato di emulsione. Dopo la cottura si attendeva un paio di giorni per il raffreddamento  prima di procedere al prelievo.

La calce viva poteva essere conservata in luoghi asciutti, per più anni.

 

Dati di conoscenza per la cottura delle rocce calcaree:

 

Quando la temperatura raggiunge i 900° fino ai 1300° la roccia calcarea (carbonato di calcio=CaCO3) perde Anidride Carbonica (CO2) trasformandosi in Ossido di Calcio (CaO) “calce viva”, perdendo circa 1/3 (un terzo) del suo peso originario. Essa trattata con acqua * (CaO+H2O) diventa Idrossido di Calcio (Ca(OH)2, detta calce idrata o Calce Spenta che diventa una massa pastosa pronta per essere mischiata a sabbia per formare la malta.

La calce idrata diluita può essere utilizzata anche per imbiancature o come disinfettante di ambienti domestici.

*N. B. quando la calce viva viene trattata con l’acqua sprigiona calore con pericolo di ustioni importanti.

 

Si allegano foto di Alessandra Alberici e  Tindaro Bertolami.